Condanna perché è in periferia che vengono rimosse e schiacciate diversità e fragilità. Salvezza perché il rinnovamento sociale e individuale parte da lì. Tanto più abiteremo le periferie, tanto più saremo in grado di rinnovare il centro.
Sono le nostre stesse vite, del resto, a insegnarcelo. Spesso sono proprio le situazioni difficili,
quelle in cui ci sentiamo soli, smarriti, segnati dalla fatica, ad aprirci gli occhi, renderci più attenti e umani. Ritroviamo il centro di noi stessi solo trovando il coraggio di abitare la nostra periferia, accettandola come parte di noi.
Per questo la periferia non è solo un luogo geografico. C’è .periferia. ogni volta che viene meno l’attenzione, l’accoglienza, la possibilità d’incontro. Ogni volta che non viene riconosciuta la centralità della persona.
Le grandi migrazioni hanno ridisegnato la composizione e il paesaggio delle nostre città, colorandole di volti e di storie che vengono da lontano, portate dalla povertà, dalle guerre, da un modello economico che ha reso intollerabile la distanza tra i pochi che hanno troppo e i tantissimi che non hanno nulla.
Eppure la città è spesso soltanto un contenitore, uno spazio di coabitazione ma non d’incontro, dove i centri urbani sono deserti affettivi non meno delle periferie, specchi di una .periferia dell’anima. dove regna la freddezza e l’indifferenza. E dove anche le forme di accoglienza e di attenzione non riescono a trasformare la solidarietà in quella corresponsabilità che sta alla base di una vera convivenza.
Le recenti vicende delle periferie francesi sono state un campanello d’allarme: se manca il riconoscimento sociale, se l’integrazione è solo superficiale, se il modello sociale e economico provoca frustrazione, disoccupazione, precarietà, anche le periferie più attrezzate finiscono per esplodere. Sono necessarie politiche che rimettano al centro la dignità della persona, i suoi diritti e bisogni fondamentali, e che agiscano sulle cause strutturali di un’urbanizzazione sempre più frenetica e disperata.
Un recente rapporto dell’Onu lancia a riguardo dati inquietanti. Ogni giorno 180 mila persone emigrano nelle città in cerca di una .casa., tanto che nel 2007, per la prima volta, la popolazione dei centri urbani supererà quella rurale. Cinquant’anni fa erano solo due le città con più di 10 milioni di abitanti: ora sono quaranta. Lo scenario è angosciante, perché chi emigra nelle città è mosso dalla speranza di un futuro migliore, mentre ad aspettarlo sono quasi sempre gli inferni delle baraccopoli e delle bidonville, nelle quali sono costrette a vivere già più di un miliardo di persone.
E. per questo che una politica che abbia a cuore i destini dell’umanità non può prescindere dal problema delle periferie. Ma per farlo deve sapere trasformare ancora una volta quei non-luoghi di condanna in luoghi di salvezza, architravi di una convivenza fondata sul rispetto dei diritti e della dignità di ciascuno. Abbandonando l’indifferenza di Pilato, uomo di Centro e di Palazzo, e facendo proprio lo sguardo profetico di Gesù di Nazareth, ribelle non-violento e uomo delle periferie.
Gesù che risorto . non dimentichiamolo . annunciò quel «vi precedo in Galilea» che indicava in quell’estremo lembo di terra . quella periferia . come l’inizio di una nuova speranza e di una nuova giustizia.