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11 aprile 2006
ARRESTATO BERNARDO PROVENZANO
I COLLETTI BIANCHI
un po di rassegna dal web da repubblica.it
Imprenditori, medici, avvocati: nei bigliettini di Provenzano
decine di nomi di insospettabili. Nei salotti si teme il terremoto
Palermo trema per le carte del boss nel mirino la mafia in doppiopetto
di ATTILIO BOLZONI
PALERMO - Pure gli innocenti tremano. Fanno finta di niente ma tremano anche loro. L'ultima paura di Palermo è una piccola striscia di carta, è un biglietto, è uno di quei famosi "pizzini" del Padrino di Corleone. Chi ci sarà scivolato dentro? Quali nomi saranno citati e a quale proposito, nei misteriosi messaggi del grande boss? Tra un "ti benedica il Signore" e un "carissimo figlio mio", nelle corrispondenze del Padrino c'è la storia degli affari e delle relazioni più segrete della Sicilia. La capitale dell'isola si è raggelata per una cattura. Reprime le sue ansie e intanto aspetta con il fiato sospeso la tempesta che porterà Bernardo Provenzano da prigioniero.
Non sono gli annunci di guerra che spaventano il ventre molle di Palermo. E non sono i nuovi e forse anche scapigliati capi della Cosa Nostra a impensierire quella sacca infetta, quei commercialisti e quegli avvocati consigliori, certi notai, tanti medici, un drappello di talpe e di spioni, imprenditori più o meno al di sotto di ogni sospetto, la famigerata "borghesia mafiosa". Il crimine in doppiopetto ha il cuore in gola per lui che non c'è più.
Lo "zio" di Corleone li garantiva tutti. Garantiva pace e prosperità, ordine pubblico e soldi. Tremano pure gli innocenti a Palermo, perché a Palermo gli innocenti vivono mischiati a tutti gli altri. Chi c'è nei "pizzini"? Ci sarà quel personaggio che è amico di quell'altro che poi è anche amico mio? Ci sarà il mio socio in affari, il mio vicino di casa, il collega della scrivania accanto? E quel funzionario della Regione che faceva favori? E quel burocrate del Comune che raccomandava tutti? È un gioco, una riffa che quattro giorni dopo la cattura più eccellente non fa divertire Palermo.
Solo nelle borgate si ostenta una tranquillità che non c'è, solo nei mercati popolari monta l'antico malanimo per uno Stato che per una volta non ha perso, per una polizia che ha scalfito l'invincibilità della mafia. Al Capo, due passi dal Tribunale, sentite come commenta l'arresto di Bernardo Provenzano il banconista della macelleria Rosone: "Con 43 anni di latitanza gli dovrebbero dare la pensione, anzi gli dovrebbero consegnare una medaglia". E Ciccio, pasticciere del Papireto: "La mafia non finisce mai". E Antonio, che vende auto lì vicino: "La vera mafia ormai è quella cinese".
Voci che salgono dalla Palermo abituata alla sfida, alla lotta cruenta, loro di qua e gli altri di là. Ma l'altra Palermo, quella che si nasconde, che si confonde, quella veramente mafiosa, in queste ore se ne sta in silenzio. Mostra indifferenza ma ha il sangue alla testa.
Farà più danno dal carcere che dal suo covo Bernardo Provenzano. La mattina che l'hanno preso la città è rimasta sospesa. Quasi non ci credeva.
"Io stavo facendo esami quando qualcuno ha saputo la notizia dalla radio", racconta Giovanni Ruffino, il preside della facoltà di Lettere. E ricorda: "Ho deciso di sospendere gli esami, in un momento epocale per i siciliani mi sembrava doveroso fermarci tutti insieme e in qualche modo festeggiare. Quando però sono uscito dall'università intorno a me ho visto un mondo completamente diverso".
C'erano solo alcuni ragazzi che esultavano per le strade. C'erano quelli di Addiopizzo che gridavano "bastardo bastardo" al Padrino che stava entrando ammanettato alla squadra mobile, c'erano gli studenti del liceo Vittorio Emanuele, c'era qualche reduce delle vecchie associazioni antimafia che è riapparso per l'occasione. Qualcuno ha pure appeso un cartello all'"albero falcone", il ficus di via Notarbartolo diventato simbolo di rivolta dopo la strage di Capaci. "Ma per il resto Palermo è la solita palude, tiene insieme chi si batte contro la mafia e chi in qualche modo potrebbe esserne coinvolto", dice ancora il preside della facoltà di Lettere.
Nei salotti si ritrovano tutti. Il mafioso coperto e l'antimafioso di facciata. Parlano lo stesso linguaggio, mandano i figli nelle stesse scuole, frequentano gli stessi circoli. Chi ha esultato è fuori dalla palude. "La Palermo estranea alla "reciprocità dei favori", che come una ragnatela tende a catturare tutto quello che si muove, ha reagito come ovunque nel mondo reagirebbe la gente alla notizia che hanno catturato un pericoloso latitante", ha scritto sull'edizione palermitana di Repubblica Amelia Crisantino, docente universitaria e storica della mafia.
Tutti gli altri muti, muti come pesci. È la rifondazione della nuova società mafiosa siciliana che ha voluto Bernardo Provenzano da Corleone. Silenzio, silenzio e poi ancora silenzio. Senza sparare un colpo i boss di Cosa Nostra hanno riconquistato Palermo.
C'è stato un processo di "legalizzazione dell'illegalità", la definizione è di Umberto Santino, il presidente del centro Giuseppe Impastato, l'intellettuale che con la sua tenacia e la sua intelligenza ha svelato tutti i depistaggi sbirreschi sull'omicidio del giovane giornalista di radio Aut, microfoni in libertà nella Cinisi regno di don Tano Badalamenti.
Era diventata proprio "legale" la mafia e anche la mafiosità a Palermo. Grazie allo "zio". Si sono adattati al nuovo contesto sociale i boss. Si sono infiltrati. Si sono mascherati. E sono finiti tutti nei "pizzini". Loro e i loro amici.
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