28.02.2007 – UliwoodParty Unità

Carcere molle

di Marco Travaglio

 

La notizia è da prima pagina di giornali e telegiornali, infatti non ne parla nessuno (a parte un articolo dell’Espresso e uno del Corriere della Sera). Nell’ultimo anno, a cavallo tra il governo Berlusconi e il governo Prodi, s’è registrato il record dei boss e killer mafiosi che si son visti annullare il carcere duro e isolato (il 41-bis). Ne sono usciti ben 89, vi restano in 526. Perché?

 

Chi aveva preso sul serio la propaganda berlusconiana, che vantava un forte impegno antimafia per il sol fatto di aver stabilizzato con legge ordinaria il regime del 41-bis prima affidato a provvedimenti temporanei prorogati di sei mesi in sei mesi, resterà stupefatto. In realtà è proprio quella legge la causa almeno indiretta dell’escalation degli annullamenti.

 

Se prima – spiega Giovanni Bianconi sul Corriere – citando una circolare del Dap (la direzione delle carceri) – era difficilissimo per i boss far revocare il 41-bis, visto che i tempi dei ricorsi erano più lunghi di quelli delle proroghe semestrali, e ogni volta bisognava ricominciare da capo, ora che il regime carcerario è definitivo c’è tutto il tempo per chiedere e ottenere l’annullamento.

 

L’ultimo a tornare al regime normale, che gli consente di comunicare liberamente con parenti e avvocati, di frequentare gli altri detenuti nelle ore d’aria e soprattutto di accedere ai benefici della legge Zozzini, è Antonino Madonna, figlio di Francesco, boss della famiglia palermitana che ha insanguinato Palermo e l’Italia con centinaia di omicidi e poi con le stragi del 1992-’93.

 

La notizia potrebbe spiegare lo strano silenzio dei boss in carcere, boss che fino a quattro anni fa si mostravano piuttosto nervosi: nell’estate 2002 il superboss Leoluca Cagarella, dalla gabbia di un processo, accusò i politici di “strumentalizzare” i mafiosi e di non “mantenere le promesse”. Altri boss denunciarono il “tradimento” dei loro avvocati eletti in Parlamento che non facevano gli interessi dei clienti. “41-bis, Berlusconi dimentica la Sicilia ”, recitava un minaccioso striscione apparso nello stadio di Palermo e scritto dal figlio di un capomafia condannato all’ergastolo.

 

Lo smantellamento del 41-bis, com’è noto, era in cima alle richieste avanzate da Riina nel “papello” consegnato nei primi anni 90 a misteriosi “referenti politici”. Quelle richieste sono state esaudite? A giudicare dal silenzio dei boss, si direbbe di sì.

 

Ora, per capire che cos’è accaduto nelle prigioni italiane sotto il governo Berlusconi, la Procura di Roma ha avviato – come rivela l’Espresso – un’inchiesta che mira a verificare l’attività svolta da 71 agenti di polizia penitenziaria incaricati dall’Ispettorato delle carceri di monitorare i boss detenuti al 41-bis. Sono state nascoste microspie nelle celle? Si sono assolati confidenti per capire dove andava Cosa nostra? E se ciò è avvenuto, chi l’ha ordinato e cos’ha scoperto? Il 20 luglio 2006, rispondendo a un’interrogazione di Graziella Mascia di Rifondazione, il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi s’impegnò ad “approfondire la materia per valutare se e come l’iniziativa” di quella squadretta di detective penitenziari dovesse proseguire e a quale controllo giudiziario rispondesse.

 

La domanda non è da poco, visto che un anno fa, in occasione dell’arresto di Provengano, il Dap fu teatro di “incidenti” quantomai stravaganti. L’Espresso parla di un tentativo, rientrato all’ultimo momento, d’inviare l’anziano boss in una prigione dov’era già recluso il suo storico braccio destro Piddu Madonna, arrestato nel ’93, che da anni tenta di accreditarsi come pentito. Alcuni funzionari del Dap se ne accorsero e Zu Binnu fu assegnato al supercarcere di Terni. Ma appena vi arrivò scattarono strane manovre per farlo trasferire altrove: qualcuno passò alla stampa la falsa notizia di un commento del figlio di Riina (‘Sto sbirro proprio qua l’hanno portato?”).

 

Tutto falso. L’associazione dei parenti delle vittime della strage dei Georgofili chiede da tempo di sapere quanti bosso sono passati dal carcere duro al carcere molle, e perché. Ora sappiamo che il beneficio ha riguardato solo nell’ultimo anno 89 mafiosi. Ma non sappiamo ancora perché. Sappiamo però che, dal carcere, nessun mafioso si pente più. E’ tutto casuale, o c’è stata l’ennesima trattativa? Se non ci saranno risposte chiare, saremo tutti – non solo i parenti delle vittime – autorizzati a pensar male.

 

Perché il diritto alla verità non riguarda solo i parenti delle vittime. Riguarda tutti noi.






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