l'Unità – 09.10.2006
Giustizia
L'Incubo è finito?
di Gian Carlo Caselli


Mezzo vuoto o mezzo pieno? O peggio, più vuoto che pieno? Com'è il bicchiere della giustizia dopo le decisioni del Senato in tema di ordinamento giudiziario? Se Castelli canta vittoria, Mastella non gli è da meno. Miracolo? Inciucio? Propaganda politica che legittimamente privilegia certi aspetti tralasciandone altri? Un rompicapo, di fronte al quale l'Uno, nessuno, centomila di Pirandello rischia di essere l'ombra di un sogno. Prima di tutto i fatti. La riforma voluta dal centrodestra comprendeva dieci decreti. Il Senato ne ha mantenuti in vigore 9 su 10. Nell'ottica di chi confidava che il programma del centrosinistra (revisione radicale della riforma) sarebbe stato rispettato, il bicchiere è certamente quasi prosciugato. Torna a riempirsi un poco, però, se si considera che l'unico decreto non confermato riguarda il punto centrale della riforma (carriere dei magistrati e separazione fra Pm e giudici), e che altri due decreti (organizzazione delle procure e illeciti disciplinari) sono stati sì salvati, ma con alcune rettifiche.
Ma attenzione: il decreto non confermato è stato soltanto sospeso fino al luglio dell'anno prossimo, non cancellato. E le rettifiche di cui si è detto, pur positive, non sembrano incidere significativamente sulla sostanza della riforma. I poteri attribuiti al «nuovo» Procuratore capo ne fanno pur sempre una specie di «mandarino», spesso in grado di ridurre i magistrati del suo ufficio al rango di sudditi (significativamente diminuita è la tutela che questi possono ricevere dal Csm). Ne potrà derivare, tra l'altro, una sensibile riduzione della praticabilità della cosiddetta azione penale diffusa, che in questi anni ha tutelato interessi fondamentali: salute, ambiente, sicurezza sul posto di lavoro.
In materia disciplinare sono state corrette alcune formule troppo ambigue, ma non si è fatto abbastanza per restituire ai magistrati le condizioni di serenità necessarie alla loro effettiva autonomia, mentre mancano (persino nei casi più gravi di incompatibilità ambientale) i presupposti perché la giustizia disciplinare possa offrire risposte pronte ed efficaci.
Quanto al bicchiere svuotato (decreti confermati senza modifiche), complessivamente essi realizzano una profonda alterazione - spesso in negativo - dell'assetto della magistratura. Per fare un solo esempio fra i molti possibili, basterà ricordare che la scuola della magistratura è congegnata in modo da esautorare di fatto il Csm, sostanzialmente ridotto a un ruolo notarile per quanto concerne le valutazioni di professionalità (che la Costituzione gli assegna in via esclusiva). Siamo comunque di fronte a un caso rarissimo, per non dire unico: di una maggioranza che (potendo istituzionalmente bloccarla) dà invece amplissima attuazione a una riforma cui - quand'era minoranza - si era duramente opposta...
Se ora dai fatti (le gocce del bicchiere: certamente troppo poche per ubriacarsi...), vogliamo passare alla loro interpretazione, penso che una buona bussola sia ricordare l'intreccio fra inefficienza organizzativa e tentativo di «governare i giudici» che ha contrassegnato la maggioranza di centrodestra della passata legislatura. Un intreccio indirizzato all'indebolimento della giurisdizione come garanzia del rispetto delle regole, nel quadro più generale della concentrazione del potere e della riduzione delle funzioni di controllo (cui era funzionale anche la riforma della Costituzione respinta dal referendum popolare).
La delegittimazione dei giudici ha registrato un crescendo da incubi. Oltre all'insulto sistematico (ancora oggi praticato in Parlamento, come ha documentato Furio Colombo su questo giornale);- oltre all'indicazione delle attività di indagine scomode come iniziative sempre «a orologeria»;- oltre alle famigerate leggi «ad personam»;- ricordiamo la pesante pressione operata dalla maggioranza del Senato (con mozione approvata il 5 ottobre 2001) per indicare ai giudici la «esatta interpretazione della legge» in riferimento a uno specifico processo. Ricordiamo la proposta di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta «per accertare se ha operato e opera tuttora nel nostro paese un'associazione a delinquere con fini eversivi, costituita da una parte della magistratura, con lo scopo di sovvertire le democratiche istituzioni repubblicane» (sic!). Lo sbocco finale di tutto ciò è stata proprio la riforma dell'ordinamento giudiziario, una riforma che si proponeva di assoggettare i giudici al controllo di un potere politico che per se stesso è refrattario ai controlli. Una riforma grazie alla quale la cultura che ha impregnato la lettura della vicenda giudiziaria italiana negli ultimi anni pretendeva di diventare legge.
Contro la riforma (più spesso definita «controriforma») i magistrati hanno ripetutamente scioperato. Per respingere l'evidente disegno di un nuovo modello di magistrato le cui caratteristiche sono quelle del conformista-burocrate. La questione è cruciale per l'equilibrio del sistema istituzionale. Il magistrato non conformista, non burocrate, vede quello che scienza e coscienza gli impongono di vedere. Magari senza entusiasmo e con fatica, perché a nessuno piace sapere che gli arriveranno addosso palate di fango sol perché fa il proprio dovere. Ma è proprio il magistrato che adempie i suoi doveri con rigore che dà fastidio a chi preferisce «servizi» piuttosto che decisioni imparziali. E mal tollera, per questo, magistrati indipendenti e gelosi di tale «status».
Allora la domanda centrale - per concludere - è questa: siamo sicuri che l'attuale maggioranza abbia davvero fatto tutto il possibile per impedire il realizzarsi della pericolosa deriva voluta dalla «controriforma»? Si vedono (o continuano a latitare) quei forti e univoci segnali di discontinuità che sono indispensabili per voltar pagina in tema di giustizia? La notte degli incubi sta finendo o continua a invischiarci?






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