Famiglia Cristiana - n° 1 - 2006

Ora è necessario un atto di clemenza
di Adriano Sansa

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Don Andrea Gallo
alla marcia per la giustizia e l'amnistia
del 25 dicembre 2005, Roma
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Non ho cambiato idea. L'amnistia e l'indulto debbono essere riservati a momenti straordinari: un mutamento politico, come dopo la seconda guerra mondiale. Un profondo cambiamento dell'ordinamento. Un accumularsi eccezionale di circostanze che richiedano clemenza. Non a caso dal 1992 la Costituzione è stata modificata e vuole la maggioranza di due terzi in ogni articolo e nella votazione finale. Una norma severa, introdotta dopo l'abuso. Amnistia e indulto non possono essere la risposta sistematica a una giustizia lenta: sono le riforme a dover portare tempi ragionevoli nei processi. Né possono rimediare a carceri senza spazi, strutture, personale: i luoghi di pena devono corrispondere a criteri di umanità e civiltà, che sta ai governi attuare.
In base a queste considerazioni ho espresso molte volte in passato un'opinione contraria a proposte di amnistia. Ma oggi, per fedeltà ai medesimi criteri, credo che occorra un provvedimento di clemenza. Dal quale andranno esclusi quei reati più gravi già tradizionalmente tenuti fuori, sia in rapporto alla entità della pena che al bene offeso (gravi fatti contro la pubblica amministrazione; contro la giustizia e la salute pubblica; in materia sessuale; di sicurezza del lavoro e di ambiente, etc.).
Non sono state fatte riforme adeguate dei codici penale e di procedura: anzi
una produzione a getto continuo di formalità, spesso prive di vero valore di garanzia, ha reso il processo sempre più complicato, un cammino irto di rabocchetti, nel quale si sbaglia più spesso e si avvantaggiano le eccezioni e i ricorsi cavillosi. L'organizzazione della giustizia non è stata ammodernata secondo le esigenze di una società ricca di scambi, rapporti personali ed economici e quindi anche di occasioni di comportamenti devianti. Nessun governo vi ha provveduto abbastanza, meno che mai l'attuale che tanto si è dedicato - obbligando così il lavoro del Parlamento- a leggi di favore per suoi componenti e loro amici.
Il carcere, da decenni, continua a essere affollato oltre ogni misura, invivibile: chi vuole fare qualche passo deve vincere un tiro a sorte con i compagni di cella, costretti nelle cuccette. E la violenza, il dominio dei peggiori; la difficoltà del personale e la sua paura, specie di notte. Come credere a una funzione di rieducazione?
Questo inadempimento dei compiti di riforma , e di stanziamento di spesa, non deve ricadere sui detenuti, cui non si può chiedere di aspettare nel degrado iniziative future, che per alcuni non arriverebbero in tempo. Ancora: dall'ultimo atto di clemenza sono passati quindici anni, non si può oggi parlare di abuso. E infine, l'approvazione della legge ex-Cirielli ha cambiato le prospettive. Sono stati esclusi dalle misure alternative alla detenzione (affermatesi come utili ormai nella maggior parte dei casi) con incomprensibile durezza, molti dei recidivi, cioè di coloro cui già sia stato applicato l'aumento di pena per precedenti reati. Secondo le previsioni ne deriverà in un anno un aumento dei detenuti stimato fino a ventimila. Dove si metteranno? Il ministro della Giustizia chiede di non essere lasciato solo a gestire l'emergenza: ma perché non vi ha pensato prima? Ecco una ulteriore, importante ragione, per l'amnistia e l'indulto. Misurati, equilibrati. Accompagnati, questo sarebbe serio, dall'impegno dei due schieramenti a riformare davvero il processo snellendo la procedura; a costruire nuove carceri e a migliorare l'organizzazione delle misure alternative; a fare davvero, insomma, entro un termine da indicare nel programma. Altrimenti torneremo presto, forse davanti a drammi, a parlare di fallimento della giustizia e del carcere, di amnistie e indulti perfino così ampi da violare la misura consueta.







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