10.11.2006 – la Repubblica
Il Caso – I provvedimenti per boss e killer della ’ndrangheta. Il procuratore Grasso: numeri spaventosi
Stop a mille fermi in Calabria
”Pochi giudici, nessuno li ordina”

di Attilio Bolzoni

Sono almeno mille gli uomini della ‘ndrangheta che se ne vanno tranquillamente a spasso per colpa di una giustizia che non funziona.
Per tutti loro è già stato richiesto l’arresto da più di un anno ma sono tutti fuori, sono tutti liberi. Boss, aspiranti boss, trafficanti di coca e mercanti di armi. Il loro numero, esatto, si conoscerà fra qualche giorno quando un censimento sarà ultimato e tutti i dati finiranno sulle scrivanie del ministro degli Interni e del Guardasigilli. E’ una montagna di ordini di custodia cautelare “congelate” quella che marcisce nelle procure antimafie di Reggio e Catanzaro, le trincee giudiziarie calabresi.
Richieste di arresto per omicidio, strage, commercio di stupefacenti, estorsione, associazione per delinquere di stampo mafioso. Tutti rapporti presentati fin dai primi mesi del 2005 dagli organi investigativi, squadre mobili, reparti speciali e territoriali dei carabinieri, nuclei di polizia tributaria della guardia di finanza. E tutti rapporti ancora fermi in quegli imbuti che sono diventati gli uffici dei giudici delle indagini preliminari dei due tribunali.
Il monitoraggio sullo stato di salute della giustizia calabrese è partito qualche mese dopo il delitto eccellente di Locri, il vice presidente del consiglio regionale Francesco Fortugno ucciso da un sicari il 16 ottobre dell’anno scorso nel seggio delle primarie dell’Unione. Da un primo controllo dei fascicoli – ordinato dalla Procura nazionale antimafia e dal ministero degli Interni – stanno emergendo quei numeri impressionati e si sta scoprendo la quasi totale paralisi delle attività giudiziarie delegate al contrasto della criminalità organizzata. “E’ vero, sono numeri spaventosi. E sono la prova di quanto sia urgente cambiare sistema”, rispondere il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso.
Aggiunge Grasso: “O si aumenta il numero dei gip o si snelliscono le procedure o si deve pensare a qualcosa che dia più poteri ai pubblici ministeri e alla polizia giudiziaria”:
Troppe denunce, troppi indagati, troppi dossier che transitano per le procure antimafia calabresi e che poi si accumulano per mesi o anche per anni negli armadi blindati di coloro che valutano indizi e prove, i giudici. Dice ancora il procuratore Grasso: “Non basta inviare più poliziotti in un’area come la Calabria o in città come Napoli, se poi i producono più in un’area come la Calabria o in città come Napoli, se poi si producono più inchieste senza però aumentare i magistrati. Più inchieste presuppongono più pubblici ministeri e più giudici, sennò il sistema va verso il collasso. E se certi imputati poi escono per mancanza di indizi o per decorrenza dei termini, si certifica una doppia sconfitta dello Stato”.
Ma quali sono queste ordinanze di custodia cautelare che “pendono” tra Reggio e Catanzaro? E soprattutto perché? Riguardano esclusivamente reati di crimine organizzato, di ‘ndrangheta. Dal racket agli appalti pubblici pilotati, dagli omicidi della locride ai grandi traffici. Sono centinaia gli indagati per il business della cocaina. La principale causa del “blocco” di questi provvedimenti è l’organico dei giudici delle indagini preliminari, un piccolo drappello rispetto ai loro colleghi della Procura. Ingolfati dalle carte, sempre in bilico tra l’essere accusati di fare da zerbino ai pm (se convalidano a raffica le loro richieste) e l’essere accusati di eccessivo zelo (se dedicano a mesi e mesi anche a una sola inchiesta) quando quelle carte le studiano a fondo. E’ l’imbuto. E’ questa, in sostanza, la ragione per la quale quei mille uomini di ‘ndrangheta sono ancora liberi.
In verità, c’è da aggiungere un ultimo elenco alla vicenda delle richieste di arresto ferme in quelle due procure della Calabria: la qualità delle investigazioni antimafia. In passato, e soprattutto in questa regione, le indagine sono sempre state di livello. E’ capitato pure che abbiano sfornato cascate di ordini di cattura e dopo pochi giorni, gli interessati se ne siano tornati a casa felici e contenti. Un caso per tutti: la retata a Platì di due anni fa. Centoquattro i denunciati dai Carabinieri, centoquattro i fermi voluti dai pm, centoquattro le ordinanze di custodia cautelare firmate dai Gip. E quasi cento cittadini di Platì subito scarcerati per mancanza di indizi. Come è evidente, quella volta, gli elementi di accusa non erano così importanti e decisivi nella lotta alla ‘ndrangheta come qualcuno voleva far credere.






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