19.11.2006 - Gazzetta del Sud

Cosenza I trafficanti albanesi alleati della 'ndrangheta e delle cosche malavitose di nomadi nella gestione del mercato clandestino di droga e armi

Narcos e boss soci in affari nella Sibaritide

La prostituzione extracomunitaria rappresenta il settore produttivo in espansione della criminalità

Arcangelo Badolati

Cosenza - Un esplosivo laboratorio criminale. Abitato da trafficanti di droga internazionali, spietati killer e boss della criminalità organizzata. Nella Sibaritide s'incrociano gl'interessi di tre diverse organizzazioni delinquenziali: i gruppi albanesi, quelli nomadi e la 'ndrangheta tradizionale. In nessun'altra zona della Penisola esiste un fenomeno tanto allarmante e pericoloso. L'inchiesta "Harem" – appena conclusa dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro – offre uno spaccato inquietante confermando l'esistenza di legami tra le diverse consorterie basati sullo smercio degli stupefacenti, il traffico di armi e la prostituzione.

I carabinieri del Ros hanno individuato quattro cosche entrate per lungo tempo in affari fra loro: una sarebbe riconducibile a Naim Ahmed, tunisino d'origine ma con base logistico-operativa a Corigliano; la seconda guidata dall'albanese Dritan Negollari, con interessi nell'Alto Ionio cosentino e in tutta Italia; la terza riferibile a Gaetano Barilari, crotonese, in costante accordo con i narcotrafficanti schipetari; e la quarta dominata da Antonio Camon, stabilmente operante nelle province di Brindisi e Bologna. Tutte e quattro i sodalizi mantenevano rapporti con le cosche della 'ndrangheta e della criminalità nomade.

Dalle intercettazioni eseguite dai carabinieri sono emersi particolari anche sull'uccisione di un ventitreenne albanese, Doruian Bena, avvenuta il 12 maggio del 2002, nel villaggio schipetaro di Ibc. Nei colloqui registrati uno degli interlocutori comunica al "compare" che si trova in Italia che «Bena è stato messo a terra». Ma non basta: sempre grazie alle intercettazioni proprio a Rossano sono stati sequestrati 40 chilogrammi di marijuana, mentre a Bari, nel vano motore di un'autovettura diretta in Calabria, è stata scoperta una pistola calibro 9 per 21 "Glock". A Fasano, invece, su una scogliera sono stati infine ritrovati cinque kalashnikov e 200 chili di "erba" destinati al Cosentino.

«Dai porti di Valona e Durazzo – spiega il procuratore aggiunto antimafia Mario Spagnuolo – partivano barconi carichi di donne destinate al meretricio e, al loro seguito, gommoni gonfi di armi e droga. In caso di controlli, i trafficanti non esitavano a sacrificare l'equipaggio di disperati che navigava sul barcone, spedendolo a speronare le motovedette della Finanza o della Guardia costiera italiana. In tal modo consentivano ai gommoni di proseguire indisturbati sino alle coste pugliesi. E' questo l'aspetto più drammatico emerso dall'inchiesta». Il Cosentino era divenuto il centro d'interesse geografico dei malavitosi d'Oltreadriatico. «Più gruppi criminali albanesi – spiega il procuratore Spagnuolo – aveva proprio terminali in provincia di Cosenza che interagivano con le cosche locali».

Oltre agli stupefacenti ed ai kalashnikov era il lenocinio una delle attività impiantate dagli albanesi nel Cosentino col "permesso" delle altre consorterie. «Le donne venivano reclutate – chiarisce Spagnuolo – in Moldavia, Bulgaria e Romania. Una volta finite nelle grinfie dei malavitosi subivano stupri e violenze d'ogni genere, con il risultato finale di essere piegate ai voleri degli schiavisti che le trasferivano successivamente in Italia costringendole a prostituirsi». Scovare i malavitosi nella loro terra d'origine non è stato però facile per la Dda di Catanzaro. «Abbiamo avviato una intensa cooperazione internazionale – chiarisce il procuratore Spagnuolo – spedendo in Albania gli uomini del Ros e un nostro magistrato, Salvatore Curcio. Con quella nazione non esiste un trattato di estradizione e, pertanto, i magistrati locali hanno avviato una inchiesta parallela alla nostra contro 25 sospettati, di cui hanno successivamente chiesto e ottenuto l'arresto. L'indagine "Harem" – continua Mario Spagnuolo – ha fatto emergere sinergie criminali tra 'ndrangheta, albanesi e nomadi. Molti dei fucili mitragliatori utilizzati per assaltare furgoni blindati hanno, infatti, provenienza schipetara. E il dato deve far riflettere». Con i kalashnikov rubati negli arsenali dell'ex esercito di Henver Hoxa sono stati pure "firmati" efferati omicidi compiuti a Corigliano e Cassano tra il 2000 e il 2003. Le perizie balistiche compiute non lasciano spazio a dubbi.


Zoom

Gli affariche i narcos d'Albania condividono con i boss delle cosche della 'ndrangheta e della criminalità nomade sono diversi: droga, armi e prostituzione extracomunitaria. Sinergie che emergono dall'inchiesta della Dda di Catanzaro "Harem". Un business di milioni di euro.


I kalashnikovalbanesi sono stati utilizzati per eseguire decine di omicidi nel corso dell'ultima guerra di mafia combattuta da estremo all'altro del Cosentino. Le armi sarebbero state scambiate con partite di droga.


La prostituzioneextracomunitaria è il nuovo filone produttivo utilizzato dalla criminalità straniera, gestito col consenso dei clan. Le donne arrivano clandestinamente nella Sibaritide e vengono immediatamente "arruolate" nelle piazzole di sosta delle Statali che tagliano la Piana: la "534" e "106 Jonica".


19.11.2006 - Gazzetta del Sud

L'APPROFONDIMENTO 

Stragi firmate col piombo dei fucili
provenienti dal "Paese delle Aquile"

Giovanni Pastore

Cosenza - Sentenze di morte firmate col piombo albanese. Omicidi di 'ndrangheta eseguiti a colpi di kalashnikov. I nuovi assetti criminali nell'"Impero del male" della Sibaritide ridisegnati attraverso un lungo rosario di sangue. Un feroce scontro che produce lutti e semina il terrore. Epifania del 1999: inizia la mattanza. Al calar della sera, in via Timpone Rosso di Lauropoli, le potenti bocche da fuoco azionate da spietati killer scatenano l'inferno e lasciano sull'asfalto i corpi di Giuseppe Cristaldi e Biagio Nucerito. I due furono sorpresi dal commando a bordo d'una Fiat Uno guidata da Nucerito.

Passano sei mesi e i kalashnikov tornano a sparare. È il primo luglio quando i sicari utilizzano i fucili mitragliatori provenienti dal Paese delle Aquile per giustiziare il trentenne Giovambattista Atene, in un agguato tesogli nei tornanti della lingua d'asfalto che collega Lauropoli a Sibari.

Le stragi di 'ndrangheta proseguono per un anno a colpi di revolver (armi utilizzate per i delitti di Antonio Sassone, a Terranova da Sibari, e per Tony Viola, a Castrovillari), prima che le cosche ritornino ai kalashnikov. Armi che gli assassini impiegano il 16 maggio del 2001, in contrada Prainetta di Doria, per eliminare Vincenzo Bloise. Sei mesi più tardi, il 24 novembre, Con Saverio Albamonte, in contrada "Fabrizio" di Corigliano, a due passi dal mare, trova la morte una giovane polacca che era in compagnia dell'obiettivo dei killer: Katarzina Pacholak. Un duplice delitto firmato ancora dai mitragliatori sovietici. E, ad aprile dell'anno successivo, i fucili arrivati clandestinamente dall'Albania vengono utilizzati per uccidere Vincenzo Fabbricatore e Vincenzo Campana inteso come "Qua Qua". Una esecuzione eclatante, avvenuta sulla Statale 106 Jonica. Le ultime vittime dei kalashnikov sono Vincenzo Salerno (ucciso nell'ottobre del 2002, a Doria), Sergio Benedetto e Fioravante Madio (caduti in un agguato a Lauropoli, nel giugno del 2003).






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