Rapporto Ecomafia 2005

estratto dall'introduzione

"La marea continua a crescere". Non si tratta di un'osservazione naturalistica, ma del titolo, efficace, scelto dal Cresme per sintetizzare i risultati di un prezioso lavoro di ricerca, elaborato come sempre in occasione del Rapporto Ecomafia di Legambiente. La "marea" in questione è quella dell'abusivismo edilizio. A percepirne la crescita, negli ultimi sei mesi, sono gli Uffici tecnici comunali più impegnati sul fronte del "mattone selvaggio". Non si tratta di una sensazione isolata. L'incremento del fenomeno dell'abusivismo edilizio viene segnalato da diversi Uffici giudiziari, nel Mezzogiorno d'Italia e non solo. La causa è sempre la stessa: il terzo, sciagurato, condono edilizio. L'esperienza pluriennale maturata nell'analisi del fenomeno consente al Cresme di definire addirittura la "ciclicità" di questo "effetto condono": l'impennata subita prima dell'entrata in vigore della norma (l'effetto annuncio) e l'ulteriore crescita nell'anno successivo (effetto trascinamento). Basta leggere i numeri di questa autentica piaga italiana per trovare immediate conferme: le nuove case abusive (al netto delle cosiddette trasformazioni d'uso rilevanti su costruzioni già realizzate) sono state 32.000 nello scorso anno, ovvero 3.000 in più rispetto al 2003, l'anno dell'impennata. Le stime, prudenziali, relative al 2005 indicano un ulteriore diluvio di cemento illegale: altre 32.000 nuove costruzioni abusive, accompagnate dalla sensazione di una "marea che continua a crescere".
Comincia dal ciclo illegale del cemento il nostro viaggio nell'Italia aggredita, sfregiata dai fenomeni di criminalità ambientale che vengono analizzati in questo decimo Rapporto Ecomafia. Una scelta dettata dalla forza dei numeri e dagli innumerevoli episodi di cronaca raccolti e raccontati nelle 348 pagine del nostro lavoro di ricerca. Ma anche dall'urgenza di un drastico e immediato intervento dello Stato, nella sua accezione più ampia, affinché il trend possa rapidamente invertirsi. Altre 64.000 nuove case abusive costruite in due anni sono un fardello insopportabile per la qualità dell'ambiente nel nostro Paese, la tutela della legalità, i legittimi interessi delle imprese costruttrici che operano nel rispetto delle regole. Ma non solo: dopo il terzo condono edilizio in meno di vent'anni, questi numeri mettono in discussione, presso comunità sempre più ampie di cittadini, la credibilità stessa delle istituzioni. Serve una risposta immediata e convincente, magari attraverso la definizione di un vero e proprio Programma nazionale di lotta all'abusivismo edilizio. Le idee, al riguardo non mancano (basta leggere, a pagina 310, l'intervento di Luca Ramacci, Co-presidente dei Centri di azione giuridica di Legambiente, magistrato oggi in prima fila nella lotta all'abusivismo edilizio). E neppure i buoni esempi, come quelli di alcune regioni (in particolare Toscana, Emilia Romagna e Campania) che hanno cercato di attenuare con legislazioni specifiche gli effetti del condono. Vanno segnalate, infine, amministrazioni locali come il Comune di Roma e parchi nazionali come quello del Vesuvio che anche nel 2004 hanno demolito diverse costruzioni abusive.
Alla raccolta e all'elaborazione dei dati viene dedicato, anche quest'anno, il nostro impegno di ricercatori sul campo. Un lavoro reso possibile dal contributo di tutte le forze dell'ordine (Arma dei carabinieri, in particolare il Comando tutela ambiente, Corpo forestale dello Stato, Capitanerie di Porto, Guardia di finanza, Polizia di stato, Corpi forestali delle regioni e delle province autonome) che ringraziamo. Ecco, allora, i dati più salienti che emergono dalla lettura di questo Rapporto Ecomafia 2005:
- gli illeciti ambientali accertati dalle forze dell'ordine nel corso del 2004 sono stati 25.469, un dato sostanzialmente in linea con quello del 2003, quando le infrazioni accertate erano state 25.798; resta stabile il numero dei sequestri effettuati (8.656) e quello delle persone arrestate (158); cresce, invece, in maniera sensibile il numero delle persone denunciate: ben 21.707, con un incremento del 10,4% rispetto al 2003 (un dato che risente senz'altro del maggiore impegno dedicato dalle forze dell'ordine contro fenomeni di particolare gravità, come il traffico illecito di rifiuti, che coinvolgono una pluralità di soggetti);
- il 49,1% di questi illeciti si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), con un incremento dell'incidenza percentuale rispetto al 2003 di circa il 6%;
- il maggior numero di illeciti ambientali si registra in Campania, seguita quest'anno dalla Sicilia (dove particolarmente intensa è stata l'attività di repressione svolta dal Corpo forestale regionale) e dalla Calabria;
- cresce nel 2004 il numero di infrazioni riscontrate nel ciclo illegale del cemento (più 3,6% rispetto al 2003) e, soprattutto, quello dei sequestri: 1.675, con un incremento del 17,7% rispetto al 2003; anche in questo caso la Campania si colloca al primo posto, come numero di illeciti accertati, ma sono da segnalare i decisi incrementi delle infrazioni accertate in Puglia (57% in più rispetto al 2003) e Toscana, con un aumento del 45% degli illeciti denunciati dalle forze dell'ordine;
- per quanto riguarda il ciclo illegale dei rifiuti, le infrazioni accertate nel 2004 sono state 4.073 e 1.702 i sequestri; il 38,3% di questi illeciti si registra nella quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, tutte commissariate da diversi anni (un'esperienza di cui anche questi numeri dimostrano il sostanziale fallimento). La Campania guida, purtroppo, anche questa particolare classifica dell'illegalità ambientale, seguita dalla Puglia e dalla Toscana (un confronto con il 2003 non è possibile, perché quest'anno, per la prima volta, sono stati inseriti in questa voce specifica, anche i risultati delle indagini condotte dal Comando carabinieri per la Tutela dell'ambiente relative all'inquinamento del suolo provocato da smaltimenti illegali di rifiuti);
- sempre per quanto riguarda i traffici illegali di rifiuti, ecco i dati aggiornati al maggio 2005 delle indagini condotte in base all'art. 53 bis del decreto Ronchi: 37 le inchieste svolte dal febbraio 2002, ben 221 le persone arrestate, 739 quelle denunciate, 213 le aziende coinvolte; dietro questi numeri si "nasconde" un'altra tendenza sottolineata con un efficace titolo di copertina da La Nuova Ecologia dello scorso mese di aprile: il graduale spostamento dei traffici illeciti verso il Centro-Nord del Paese, la cosiddetta "ecomafia devolution", che ha avuto con i recenti sequestri di cave trasformate in discariche abusive in provincia di Viterbo un'ulteriore conferma;
- continua a crescere quella sorta di "catena montuosa" di rifiuti speciali prodotti e finiti nel nulla che viene denunciata ogni anno da Legambiente, dopo una faticosa analisi dei dati ufficiali disponibili: nel 2002 si è raggiunto il massimo storico di 14,6 milioni di tonnellate di rifiuti di cui viene stimata la produzione ma non se ne conosce il destino, equivalenti a una montagna alta 1.460 metri con una base di tre ettari;
- diminuisce, secondo i dati forniti dal Comando Tutela patrimonio culturale dell'Arma dei carabinieri, il numero dei furti di opere d'arte e reperti archeologici (1.190 nello scorso anno, con una riduzione del 7,9% rispetto al 2003), ma aumenta del 4,7% il numero di opere trafugate (oltre 19mila); la regione più esposta continua ad essere il Piemonte, seguita dal Lazio e dalla Lombardia;
- aumenta in maniera significativa nel 2004 il business potenziale dell'ecomafia, tra mercato illegale e investimenti a rischio nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, che passa dai 18,9 miliardi di euro del 2003 ai 24,6 miliardi di euro del 2004, con un incremento complessivo del 29,8%;
- cresce, infine, il numero dei clan censiti da Legambiente con interessi diretti nel ciclo del cemento, in quello dei rifiuti e nel racket degli animali (dai combattimenti tra cani al fenomeno, sempre più diffuso, delle corse clandestine di cavalli): sono 25 in più rispetto al 2003, per un totale di 194 clan.
Fin qui i numeri, perlomeno quelli più significativi. Ma il Rapporto Ecomafia è anche la cronaca, raccontata con passione, di un anno di battaglie sul doppio versante della tutela dell'ambiente e della legalità. Tra le tante storie, gli innumerevoli episodi raccolti da una vera e propria redazione (coordinata, come sempre, da Nunzio Cirino Groccia), abbiamo scelto due vicende che vedono la nostra associazione da sempre in prima fila:
- i traffici e gli smaltimenti illegali di rifiuti nell'area compresa tra la zona nord della provincia di Napoli e l'agro aversano, in provincia di Caserta, con giustificate preoccupazioni per gli impatti sanitari di queste attività illecite;
- le attività di estrazione abusiva di sabbia dall'alveo del Po, che hanno visto nel 2004 un ulteriore allargamento delle indagini, con le ordinanze di custodia cautelare emesse dalla Procura di Mantova, dopo quelle della Procura di Rovigo e i sequestri effettuati dalla Procura di Reggio Emilia.
Nella prima relazione della Commissione monocamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, dell'ormai lontano 1995, venne ribattezzata come la "terra dell'ecomafia". Poi è diventata, per l'evoluzione dei sistemi criminali di smaltimento illecito, la "terra dei fuochi" a causa degli innumerevoli roghi appiccati in una sorta d'inceneritore abusivo diffuso sul territorio. Oggi, questa parte d'Italia devastata da fenomeni d'illegalità ambientale che hanno il loro epicentro tra i comuni di Giugliano, Qualiano e Villaricca, attende ancora risposte concrete dalle istituzioni.
Legambiente, in questi undici anni, non ha mai fatto venire meno, grazie all'impegno dei suoi circoli e dei suoi dirigenti che in quei territori vivono, il coraggio della denuncia e l'impegno della proposta. Anche quest'anno, con la presentazione dei primi studi effettuati su quest'area in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità e di quelli avviati, su un territorio ancora più ampio, dall'Organizzazione mondiale della sanità, cerchiamo di richiamare l'attenzione di tutti sull'urgenza di rispondere in maniera adeguata alla gravità della situazione. Lo facciamo con forza, grazie al lavoro di ricerca condotto da Peppe Ruggiero nel capitolo sul ciclo illegale di rifiuti; al contributo, consueto e appassionato, di Donato Ceglie (il magistrato della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere a cui si deve la scoperta e la repressione di un'infinita serie di crimini ambientali in provincia di Caserta); all'intervento di Pietro Comba, del Dipartimento Ambiente e connessa prevenzione primaria dell'Istituto superiore di sanità.
Si tratta di uno sforzo eccezionale (è in assoluto la situazione a cui viene dedicato il maggior numero di pagine di questo Rapporto), dettato anche da un'amara constatazione: dopo undici anni di denunce, rischia di venire meno anche quel barlume di speranza che abbiamo contribuito a tenere acceso tra le comunità locali, tra i tantissimi cittadini onesti per nulla disponibili a chinare la testa e tapparsi il naso. E' indispensabile, allora, che si dia corso a quell'azione di controllo del territorio, coordinata tra le varie forze dell'ordine, che abbiamo ribattezzato, nella precedente edizione del Rapporto Ecomafia, come "Operazione primavera". Ed è fondamentale che proseguano e vengano approfonditi gli studi già avviati sulle aree di rischio e gli impatti sanitari degli smaltimenti illeciti. Riteniamo, infine, che questi territori, inseriti insieme al litorale domizio-flegreo e all'agro aversano tra i siti d'interesse nazionale da bonificare, debbano avere, per quanto possibile, la precedenza: sia in considerazione dell'elevata densità abitativa sia per la presenza, ancora diffusa, di importanti produzioni agro-alimentari, commercializzate su tutto il territorio nazionale e non solo.
Accanto al disastro ambientale, perché di questo si tratta, che si è consumato negli ultimi vent'anni tra le province di Napoli e Caserta, Legambiente vuole richiamare l'attenzione su un altro disastro in corso: quello causato dal saccheggio sistematico e abusivo del fiume Po. Le conseguenze delle escavazioni abusive di sabbia (la cui estensione e gravità è stata ulteriormente confermata quest'anno grazie alle indagini della procura di Mantova) sono ovviamente diverse da quelle dello smaltimento illecito di rifiuti, ma non meno preoccupanti: l'abbassamento dell'alveo di magra comporta serie conseguenze sulla stabilità delle opere di attraversamento e su quelle di presa dell'acqua per fini potabili, irrigui e industriali. Non solo: com'è ampiamente dimostrato da studi e ricerche pubblicate negli anni scorsi, questo saccheggio indiscriminato di milioni di metri cubi di sabbia l'anno, ha moltiplicato i rischi di inondazione, per la compromissione delle difese spondali; ha cancellato biotopi naturali di grande pregio; ha determinato seri fenomeni di erosione delle spiagge dell'Adriatico. Un danno enorme per la collettività, a fronte del quale imprenditori senza scrupoli e funzionari pubblici corrotti hanno accumulato autentiche fortune: una sola draga impegnata per 150 giorni l'anno in queste attività abusive può far incassare ai suoi proprietari 2,5 milioni di euro. Ovviamente tutti in nero, senza tasse da pagare.
Anche in questo caso è indispensabile uno scatto delle istituzioni: l'impegno di alcune amministrazioni provinciali, in particolare quella di Mantova, l'avvio, in Emilia Romagna, di tecniche di controllo più efficaci (con l'installazione di sistemi satellitari di rilevamento della draghe) fanno ben sperare. E così pure le prime riunioni congiunte di presidenti e assessori all'ambiente delle diverse province colpite da questi fenomeni criminali, dal Veneto alla Lombardia. Non è retorico, ma tutto questo ancora non basta: i ladri di sabbia hanno già studiato i metodi migliori per aggirare gli ostacoli e non sembrano affatto disponibili a rinunciare ai loro lauti guadagni. E' per queste ragioni che Legambiente avanza una serie di proposte specifiche, illustrate nel capitolo 12 di questo Rapporto, che vanno dall'installazione di sistemi di sorveglianza elettronica, sia a terra che sulle imbarcazioni, alla creazione di una vera e propria rete di controllo che coinvolga, in maniera organizzata, forze dell'ordine, polizia locale, comuni, associazioni del volontariato fino alla promozione di materiali alternativi a quelli cavati, anche legalmente, come gli inerti da demolizione opportunamente trattati e riciclati.
Due vicende esemplari, dedicate ai cicli principali dell'ecomafia (quello dei rifiuti e quello del cemento) per le quali ci auguriamo davvero che arrivi il momento delle risposte concrete. Ma gli spunti di riflessione che offre questo Rapporto Ecomafia 2005 sono davvero tanti: le situazioni di vera e propria emergenza ambientale che si riscontrano nei Comuni sciolti per mafia (analizzati dal giornalista dell'Avvenire, Toni Mira, nel capitolo 13 di questo rapporto); la denuncia, ricca di numeri e di casi concreti, del fenomeno del bracconaggio; la dimensione globale delle ecomafie, dai traffici internazionali di rifiuti a quelli di specie protette e di reperti archeologici; i contributi dei nostri Centri di azione giuridica. Soprattutto, le tante testimonianze concrete dei risultati che si possono ottenere grazie all'impegno di tutti, dalle associazioni dei cittadini alla magistratura, dagli amministratori locali ai rappresentanti delle forze dell'ordine. L'elenco di questi protagonisti di un'Italia che crede nella legalità e nella tutela dell'ambiente sarebbe troppo lungo. E rischieremo di fare torto a qualcuno citando solo gli episodi che più ci hanno colpito, scrivendo e leggendo le 348 pagine di questa ricerca. Il nostro, insomma, vuole essere un caldo invito alla lettura.
Com'è consuetudine, anche la premessa del decimo Rapporto Ecomafia di Legambiente si conclude con una proposta. Che da molti anni è sempre la stessa: inserire nel nostro Codice penale i delitti contro l'ambiente. Quando la formulammo per la prima volta, undici anni fa, eravamo una voce abbastanza isolata. Oggi non è più così: il Consiglio d'Europa ha approvato, da tempo, un importante atto d'indirizzo che impegna i Paesi membri a introdurre, nella propria legislazione, adeguati strumenti di tutela penale dell'ambiente; la Commissione per la riforma del Codice penale, presieduta dal giudice Carlo Nordio, ha previsto l'introduzione dei delitti contro l'ambiente subito dopo quelli contro la persona; la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta dall'on. Paolo Russo, ha approvato, nel dicembre del 2004, una relazione che sollecita il Parlamento a varare questa indispensabile riforma; sono diversi i disegni di legge, sottoscritti da rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione (a cominciare da quello presentato dal presidente onorario di Legambiente, Ermete Realacci) che prevedono, in maniera sostanzialmente simile, l'introduzione di nuovi delitti attraverso i quali tutelare meglio il nostro patrimonio ambientale dai tanti fenomeni di aggressione criminale che denunciamo ogni anno.
Saremo forse degli inguaribili ottimisti (del resto, senza una buona dose di ottimismo, sarebbe assai difficile scandagliare con serenità, ogni anno, il "lato oscuro" del nostro Belpaese) ma vogliamo credere che in quest'ultimo scorcio di legislatura le forze politiche di maggioranza e opposizione trovino, in Parlamento, la determinazione necessaria per approvare questa riforma di civiltà. Non a caso abbiamo scelto come distico del Rapporto Ecomafia 2005 la nuova versione dell'articolo 9 della Costituzione, che riconosce in maniera piena ed esplicita il valore fondamentale dell'ambiente. La sua approvazione, sostanzialmente all'unanimità (303 voti a favore, 9 contrari e 22 astenuti) da parte della Camera dei deputati è stato un bel segnale in una stagione politica segnata da fortissime conflittualità, soprattutto per quanto riguarda le riforme costituzionali. Dedicargli la "prima pagina" del nostro Rapporto vuole essere anche un auspicio: quello di una legislatura che si concluda, magari l'ultimo giorno utile, con l'approvazione di un disegno di legge unitario che traduca, concretamente, quell'impegno alla tutela degli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni, che ha raccolto un così ampio consenso parlamentare.
Esiste già un precedente fortunato: quello dell'articolo 53 bis del decreto Ronchi, diventato oggi uno strumento formidabile nel contrasto delle organizzazioni di trafficanti di rifiuti, che venne approvato proprio con l'ultima votazione effettuata in Senato, l'8 marzo del 2001, il giorno stesso in cui vennero sciolte le Camere. La materia in discussione oggi è sicuramente più complessa ma c'è ancora tempo sufficiente per approfondire, mediare e trovare la soluzione migliore. Basta avere la volontà politica di farlo.

la devolution dell'ecomafia

Così materiali contaminati finiscono sulla linea Venezia-Milano o diventano composti. E lo smaltimento illecito invade il Nord

Allii Mcck srl dì Curnasco di Treviolo, ne! bergamasco, lo scorso 16 mar/o sarebbe stato un giorno di lavoro come canti altri. Da tutta la Lombardia, nonostante l'azienda non fosse autorizzata a raccoglierli, erano in arrivo i soliti tir carichi di rifiuti speciali. Dopo di che sarebbe partito il consueto processo di "pulitura": quello che rende il carico, una volta miscelato con altri materiali e camuffato grazie a documenti filisi, idoneo allo smaltimento in discarica. Quel giorno però in azienda sono arrivati i carabinieri e hanno bloccato gli impianti. Contemporaneamente, grazie all'intervento di un centinaio di militari, venivano arrestate quattro
persone e sequestrati nelle province di Bergamo, Brescia, Lecco, Varese e Cremona altri sei impianti di smaltimento con 25 autoarticolati, per un valore di 30 milioni di euro. Sono i numeri dell'operazione Koiitlìc & Cfytle (dal soprannome di uno dei 29 indagati), l'ultima delle tre maxi-retate che tra febbraio e mar/o hanno bloccato nel Nord Italia organizzazioni dedite al traffico illecito di rifiuti. L'ultimo segnale che qualcosa nello smaltimento illegale è cambiato. E che il baricentro sì è spostato verso il Nord. «11 Settentrione - spiega Paolo Russo, presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti -
rappresenta dal punto di vista squisitamente geografico un naturale crocevia di traffici. Inoltre è l'area dove, in virtù della presenza di un maggior numero di agglomerati industriali, si producono più scorie speciali».

Sorpasso a Nord
In effetti, fra la Pianura padana e l'arco alpino (fatta eccezione forse per la val d'Aosta) lo smaltimento illecito è diventato altrettanto
frequente che al Sud. Almeno a giudicare dalle inchieste avviate dal febbraio 2002 in base all'artìcolo 53 bis del cosiddetto decreto Ronchi, che nel 1997 ha introdotto il delitto di «attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti». Delle 36 principali operazioni di polizia condotte negli ultimi tre anni, infatti, ben 11 hanno riguardato procure localizzate dall'Emilia-Romagna in su. Dal marzo 200-1 sette dei 13 blìtz sono stati effettuati nel Settentrione, che nell'ultimo anno ha perfino superato le regioni a tradizionale presenza matiosa (Calabria, Campania, Sicilia e Puglia). Compiendo anche un "salto di qualità": oltre che come zona di procacciamento, il Nord Italia si attesta come destinazione finale degli scarti industriali smaltiti illegalmente. Come dire: un anticipo, assai poco onorevole, della devolution. A conferma di ciò, gli ultimi traffici Nord-Sud intercettati dalle forze dell'ordine risalgono a
un anno fa, proprio nel periodo in cui le strade della Campania cominciavano a riempirsi di rifiuti per l'emergenza discariche. Fra marzo e aprile 2004 sì sono succedute le «pera/ioni Houdini (dagli impianti di due società veneziane partivano, accompagnate da documenti falsi, migliala di tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi), \losca (sul litorale molisani» finivano scarti provenienti da Piemonte, Veneto, Toscana, Lazio, Campania, Molise e Puglia) e Re Mida (i rifiuti provenienti dal Centro-nord venivano smaltiti illegalmente in Campania e sembra che la maggior parte contenesse sostanze cancerogene).

Questione di soldi
A i n terrompe re le migrazioni dei carichi avvelenati potrebbe essere stata proprio la forte attenzione che nell'ultimo anno le istituzioni e i media hanno rivolto al Mezzogiorno. Una spiegazione però che non convince del tutto il tenente colonnello Antonio Menga, comandante del Reparto operativo tutela ambiente dell'Anna, da sei anni alla guida di numerose inchieste sul ciclo illegale dei rifiuti: «Forse un territorio più controllato nel Meridione favorisce il fatti» che i trafficanti del Nord facciano tutto in casa. Ma questo fenomeno è sempre esistito in alta Italia, dove la concentrazione di distretti industriali è più elevata. Dirò
di più: anche quando i rifiuti finiscono smaltiti al Sud, le menti, gli organizzatori veri e propri, sono sempre persone residenti nel
Settentrione». L'attività delle forze dell'ordine poi, ha avuto il suo peso: «Gli ecocri-minali non si spingono dove trovano maggior contrasto - prosegue Menga -1 terreni fertili per ecomafia sono quelli meno conosciuti, ma per fortuna ormai li conosciamo tutti». Insomma, ancora una volta quella economica sembra la spiegazione più convincente per questa "contrazione" delle rotte: «Se lo smaltimento avviene più vicino i costi si abbattono: basta trovare i siti idonei» .

Tecniche all'avanguardia
Proprio un recente dossier preparato dai carabinieri del Comando tutela ambiente e da Legambiente, Rifiuti Spa, ha messo in chiaro le modalità con cui si svolgono questi traffici. Negli ultimi tempi sono venute alla luce tecniche sempre nuove e una metodologia più subdola di smaltimento. I trafficanti non sono più costretti a scavare enormi buche: questo rende più agevole completare il ciclo illegale nella stessa zona di produzione. La tecnica del "giro di bolla", infatti, consente a tir
imbottiti di rifiuti pericolosi di viaggiare indisturbati lungo le autostrade. In realtà il carico transita solo sulla carta da un centro di
stoccaggio all'altro: una rete ben articolata di faccendieri, analisti, chimici e impiegati (vedi l'infografica in queste pagine) cambia i codici, declassifica i rifiuti e ne falsifica le caratteristiche reali. Così, un rifiuto pericoloso diventa speciale, un solvente tossico destinato a finire in una discarica ad hoc si trasforma attraverso una "miscelazione" in innocuo rifiuto urbano. E magari finisce come compost in terreni agricoli o nel sottofondo stradale. Negli ultimi tempi poi al giro di bolla si è aggiunta - come emerso dalle indagini dell'operazione Houdini - la "teoria del codice prevalente": una partita ottenuta dalla miscelazione di rifiuti con
codici diversi viene identificata con il codice dei rifiuti presenti in maggiore quantità.

I Colletti bianchi
Insomma, gli ecocriminali non hanno più bisogno di scavare enormi buche in aree preferibilmente lontane dal controllo delle forze dell'ordine, stringendo accordi con la criminalità organizzata. I "colletti bianchi" dei rifiuti (come il chimico di turno, che predispone un formulario o un certificato di analisi falso, o come i funzionari pubblici pronti a chiudere più di un occhio dietro adeguata ricompensa) sono in grado di garantire la "ripulitura" di interi carichi pericolosi, che poi finiscono smaltiti in impianti non idonei, alla luce del sole. Da quando sono stati messi a punto questi nuovi metodi, le indagini si sono fatte più complesse.
Ne sa qualcosa Vincenzo Macrì, dall'ottobre scorso a capo del servizio della Direzione nazionale antimafia dedicato al fenomeno dell'eco-mafia. «Non è facile - chiarisce - far fronte a un tipo di criminalità che mette insieme delitti ambientali, delitti di mafia e reati contro la pubblica amministrazione. Per il momento non sembra che le ultime operazioni mostrino un coinvolgimento della
criminalità organizzata. Ma una presenza diretta o indiretta, magari nella fase di intermediazione o trasporto, non si può escludere del tutto».
Il mercante-
Dei resto, nelle piccole e medie aziende del Nord se ne trovano tanti di imprenditori pronti a smaltire a bassissimo costo rifiuti speciali e pericolosi senza preoccuparsi di dove vadano a finire. Al punto che persino strade ferrate e cavalcavia sono stati utilizzati come discariche a ciclo apeno: fanghi pieni di idrocarburi pesanti, nichel e rame sono stari utilizzati per realizzare massicciate per ferrovie, strade e parcheggi. Sono 28 gli indagati, con sette ordinanze di custodia rantolare, nell'ambito dell'operazione // mercante di rifiuti, effettuata nel Vicentino il 22 febbraio dagli agenti del Corpo forestale dello Stato.
Sulla linea dell'alta velocità Venezia-Milano, quattro chilometri tra Mestre e Dolo, olire a un cavalcavia del nuovo raccordo di Padova, sono diventati ricettacolo di questi residui di lavorazione provenienti da Veneto, Iombardia, Trentino ed Emilia-Romagna. L'ideatore della maxi truffa - che fruttava tre milioni di euro l'anno sarebbe Fabrizio C., imprenditore di ... anni titolare della ditta che forniva il conglomerato.
Le opere pubbliche in cui il materiale è finito, spiegano gli investigatori, "sono potenzialmente pericolose». Per i cittadini che le
utilizzano, per i lavoratori che le hanno realizzate. E per le falde acquifere sottostanti. Un altro imprenditore, Riccardo B., quarantadu enne residente a Monlecchio Maggiore (\lcenza), è stato arrestato invece lo scorso 17 febbraio. Gli uomini del Corpo forestale lo ritengono «responsabile di una lucrosa attività di smaltimento di rifiuti per un giro complessivo di affari di circa quattro milioni di euro l'anno». Con lui quattro persone, fra cui la moglie titolare della ditta, sono finite agli arresti e altre sette sono indagate come intermediar! o destinatari finali dei traffici verso impianti situati in Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Toscana
ed Emilia-Romagna. Facile capire perché l'inchiesta sia stata chiamata Camaleonte: "Una vera e propria operazione di trasformismo di facciata, di miscelazione di carichi di rifiuti spacciati per legno che finivano ai termo va lori zza tori o agli impianti di recupero», recita la nota emessa dal Corpo forestale in seguito agli arresti. In soli tre mesi oltre 35 milioni di chili di rifiuti, cento camion al giorno, sono finiti direttamente in discarica senza passare nei centri di selezione e recupero.
Come spesso accade, i prezzi stracciati che l'imprenditore arrestato praticava a oltre cento imprese del Vicentino, avevano messo fuori mercato i concorrenti ehe operavano nel rispetto della legge. Ora gli inquirenti sono al lavoro per stabilire se i clienti fossero a conoscenza della truffa del "camaleonte".

Bugie che puzzano
I nomi utilizzati per individuare i diversi filoni d'indagine la dicono lunga sulla natura delle a ni vita messe in piedi dai trafficanti. Basti
pensare a quella chiamata Pinocchio, che nel luglio 2004 ha portato alla scoperta di un giro di rifiuti speciali provenienti da aziende lombarde, piemontesi e liguri. Destinazione, alcuni impianti delle province dii Alessandria e Novara su intermediazione di società di Pavia e Bra. Stavolta il gruppo di ecocriminali, che aveva costituito una società denominata Gvp (il Catto, la Volpe e appunto Pinocchio), operava in due modi paralleli: modificando la classifi camion e degli scarti o miscelandoli per destinarli a imprese che producono compost, a cave autorizzate al ripristino ambientale o a discariche di rifiuti urbani. 11 mese scorso è stato comunicata la conclusione delle indagini, con la richiesta HI di rinvio a giudi/io per 36 persone. Così Pinocchio e compagnia hanno smesso di dire bugie.

Un articolo "determinante"
Una carrellata di successi investigativi, insomma, che ha una spiegazione ben precisa: «Assieme al rafforzamento del nostro organico, voluto dal ministro Malleoli - sottolinea il colonnello Antonio Menga - l'articolo 53 bis ci ha consentito di ottenere risultati che altrimenti non avremmo avuto. Ha reso le indagini più agili e snelle: con l'introduzione della pena detentiva da uno a sei anni, ad esempio, oggi perni a mo ricorrere alle intercettazioni telefoniche». Questa evoluzione nonnativa si è rivelata determinante anche come strumento di contrasto alle cosche.

I produttori
Complice l'assenza di controlli, chi produce rifluii ne affida lo smaltimento a società non autorizzale, badando solo a minimizzare i costi del servizio In alcuni casi il produttore è artefice diretto dello smaltimento illegale

Gli intermediali
Pilotano il flusso illegale facendo tramite fra chi produce e chi siri lisce e individuando sempre nui sversatoi Non entrano mai in cr tatto con i rifiuti e per operare gli bai un piccolo ufficio, a volte solo I ai I trasportatori In passato provvedevano direttamente a falsificare i documenti di trasporto per conferire m discariche autorizzate rifiuti non idonei. Oggi capita spesso che il reato di traffico illecito si consumi a loro insaputa

Gli pseudo-imprenditori
Si tratta di truffatori specializzati ne declassificazione dei rifiuti. Spesso sono proprietari dei siti dove finiscono senza autorizzazione gestori di discariche che in cambio di tangenti "chiudono un occhio'

Laboratori di analisi
Gli analisti chimici, nella veste di consulenti, "adeguano" gli esiti degli esami alle esigenze dei trafficanti. Gli inquirenti hanno scoperto certificati di iaboratori inesistenti o sprovvisti della strumentazione necessaria

La manodopera
Sono trasportatori, agricoltori che die far da scaricatori o pastonsentinelle.E co è emerso dalle intercettazioni, qgar il carico è parti cola rmente peritata trafficami non si sporcano le mani: .fi diamo due, tre marocchini...».


«ROMPERE L'ACCORDO TRA IMPRESE E CLAN»
Per il procuratore nazionale antimafia Vigna i risparmi ottenuti con l'illegalità sono illusori «Va preso atto che ormai certi fenomeni interessano l'intero paese. E non esitano a spostarsi anche oltrefrontiera. La criminalità ambientale non è diversa da quella tradizionale: va dove ci sono gli affari». Piero Luigi Vigna, 72 anni, confermato di recente - con una propoga che non ha mancato
di suscitare polemiche - alla guida della Dirczione investigativa antimafia conferma l'allarme sull'intensificazione dei traffici illeciti di rifiuti al Nord.
Le ultime operazioni indicano che ormai lo smaltimento illegale avviene direttamente nei luoghi di produzione.
Certo, ma per fortuna il lavoro degli inquirenti ha portato a galla anche questo nuovo aspetto. Il merito è anche di associazioni come Legam-biente, che negli anni ha sensibilizzato forze di polizia e magistratura. Un merito è anche quello di aver chiesto con insistenza un intervento normativo.
L'articolo 53 bis nel decreto Ronchi ha dato la possibilità alla magistratura di intervenire più drasticamente. Ora bisogna introdurre i
delitti contro l'ambiente nel codice penale. Che cosa hanno in comune l'eco-mafia e le altre forme di criminalità organizzata?
Pensi ai tabacchi, agli stupefacenti, agli stessi rifiuti... Pensi anche alla tratta di esseri umani a fini di sfruttamento della prostituzione: sono tutte forme di criminalità consensuale. Cosa intende dire? C'è un mercato dove accanto a chi produce e offre beni illeciti troviamo anche una domanda, gente che acquista questi beni. Il problema di politica criminale più urgente mi
sembra quello di rompere questo accordo, questa consensualità. Intervenendo in primo luogo sulla prevenzione.
E in quale maniera? Innanzitutto con l'informazione. Chi I verificata sotto due profili. Il profilo I alto, che è quello che ha
posto in i luce questa indagine, e il profilo i basso, che deriva da un'analisi fatta i sul territorio di Reggio Calabria e i Messina. Qui, per esempio, sono sorti ; alberghi, residence e altro. L'aspet-! tativa è che lo Stato al momento ! degli espropri paghi, e bene, sia il terreno sia la costruzione. Quanto costruito dopo una certa data, quando ormai "l'ingombro" del Ponte era noto, va demolito per legge, senza risarcimento.
I commissari dei Comuni sciolti per mafia, nelle loro relazioni al Parlamento, hanno rilevato come la criminalità che si sostituisce allo Stato non è capace di garantire i servizi 'Nessun risarcimento a chi ha costruito nei luoghi in cui sorgerà il Ponte.
Servono criteri rigorosissimi nelle candidature a livello locale' smaltisce illegalmente un chilo di rifiuti nocivi risparmia, ma è un
risparmio illusorio. I soldi spesi "in nero" alimentano organizzazioni che si infilano nell'economia legale e creano concorrenza monopolistica. Questi imprenditori, alla lunga, si danneggiano da soli. Di recente è arrivata la conferma che le cosche tentano di infiltrarsi nell'affare del ponte sullo Stretto. Di fronte ad attacchi così pesanti, le sembrano sufficienti gli strumenti di prevenzione messi in campo?
Già il risultato dell'indagine della Distrettuale di Roma mi sembra positivo. L'aggressione al Ponte l'abbiamo al cittadino: acqua, rifiuti, qualità urbana... Le organizzazioni mafiose hanno come unico know-how la violenza e il profitto. E sottovalutano i benefici apportati dalle moderne tecnologie. Per questo è sicuramente più efficiente un'amministrazione non mafiosa. Pensi alla ricchezza prodotta da alcuni termovalorizzatori in Lombardia. Le discariche abusive, invece, perseguono solo profitti individuali compromettendo intere aree del nostro territorio. Lei ha più volte invitato i giovani delle terre di mafia e camorra ad amare di più il lavoro. Se non c'è, però, non basta amarlo.
Sì, certo, il lavoro va dato. Ma è più facile dare lavoro che insegnare ad avere voglia di lavorare. Pensi a un ragazzo di Scampia che "piglia" 50 o 100 euro al giorno per fare la sentinella appoggiato a un muro, al sole, fumando sigarette. Il problema vero è come gli trasferisco la voglia di lavorare. La vita del camorrista o del mafioso, al di là dei denari, è trascorsa a cercare di non essere ammazzati. Nel '93 ad Agrigento il papa disse: «Giovani, riprendete in mano la vostra vita ». Questi ragazzi hanno
la vita nelle mani di altri. A proposito delle mani di altri, lei ha invitati i sindaci a costruire i insieme il futuro di questi territori. i
Ma come recita il titolo di un libro, : mafiosi e politici sono ancora i «amici come prima», non le pare? i Le rappresentanze nazionali dei par-i titi sono state capaci di fare una sorta I di patto a escludendum. In questo i momento, le organizzazioni mafiose i trovano i collegamenti soprattutto ! negli enti locali: dove si stabilisce se i e come si deve fare un'opera. È a questi livelli allora che è necessario che i partiti adottino criteri rigidissimi per le candidature. Ma come è possible raggiungere questo risultato se il tema provoca ancora forti divisioni politiche? Se non si esce dalle polemiche più o meno strumentali, se non ci sono dei temi condivisi come la lotta alla mafia o la legalità è impossibile fare qualunque ragionamento serio. Questa alternanza di balletti fra la Sicilia che prospera e quella mafiosa è sbagliata. Recentemente ho partecipato a un convegno sul racket a Palermo. Lì -come dicono i miei colleghi - tutti pagano il pizzo. E il teatro quel giorno i era vuoto. (Raffaele Lupoli)
alcuni casi, infatti, le indagini partite dal traffico di rifiuti hanno addirittura disvelato attività di stampo mafioso o camorristico,
consentendo agli inquirenti di applicare anche l'articolo 416 bis del codice penale. È il caso delle operazioni Houdini, Re Mida (che nel 2003 ha portato all'arresto di sei esponenti del clan dei Casalesi) e di un suo sviluppo nell'anno successivo, l'operazione
Mazzettus. «Re Mida è un'indagine unica nel suo genere - commenta ancora Menga - sia per le particolari tecniche investigative che abbiamo adottato sia per il coacervo di reati che sono venuti alla luce: traffico di rifiuti, corruzione, estorsioni della criminalità organizzata ai danni degli stessi trafficanti...». Viene da chiedersi che cos'altro salterebbe fuori se si introducessero i delitti
contro l'ambiente nel codice penale. «In effetti c'è bisogno di un ulteriore adeguamento della nonnativa - conclude il procuratore Macrì - La lista dei reati che sarebbe più facile contrastrare è lunga: si tratta di tutti quelli che possono configurarsi come disastro ambientale». Speriamo che mentre il legislatore "studia" non ce ne siano di nuovi







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