Inaugurazione anno giudiziario 2003

RELAZIONE DEL DOTT. DOMENICO PORCELLI,
PROCURATORE GENERALE
DELLA CORTE DI APPELLO DI GENOVA

18 gennaio 2003




Signor Presidente
Signori Consiglieri della Corte
Cari colleghi della Procura Generale
Signori Avvocati
Autorità
Signori e Signore

Voi siete convenuti in quest'aula non certo per assistere all'inutile ripetitività di questo rituale, in cui saranno recitate querimonie sempre inascoltate e che si riduce ad una sterile ostentazione di muscoli giudiziari cui non fa riscontro la effettività di una risposta seria, adeguata e soprattutto tempestiva alla domanda di giustizia.
Io ho fiducia che la Vostra presenza, invece, sia garanzia della consapevolezza, e della speranza, che la amministrazione della giustizia non è un optional per uno stato di diritto, come il nostro si vanta ancora di essere, ma una funzione essenziale per lo svolgimento regolare e pacifico della vita sociale.
Di questo vi ringrazio di vero cuore.

Nel breve tempo che mi è stato assegnato non ho la possibilità di salutare una per una le Autorità e le Personalità presenti e me ne scuso.
Consentitemi, però, che rivolga un doveroso e riconoscente pensiero al Presidente della Repubblica, che rappresenta l'unità dello Stato ed è garante della sua indissolubilità oltre che dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione Repubblicana.
Consentitemi, inoltre, che ancora una volta ricordi con commozione l'eroico sacrificio del Procuratore Generale di Genova dr. Francesco Coco, vittima della vigliacca brutalità dell'eversione, con unica colpa quella di avere perseguito ideali di giustizia che non potevano costituire oggetto di contrattazione, ben consapevole che con la sua scelta metteva a repentaglio la vita.

Il Consiglio Superiore della Magistratura vuole che le relazioni che i Procuratori Generali devono svolgere, creino la premessa perché la cerimonia d'inaugurazione dell'anno giudiziario costituisca momento di riflessione sui complessi temi della giustizia e pacato confronto tra le varie professionalità che vi operano.
Mi accingo al compito anche sulla base delle esperienze maturate in quarantatre anni di magistratura in uffici operativi di prima linea ed in virtù dell'osservatorio privilegiato costituito dall'Ufficio di cui sono titolare.
Inizio dal Distretto della Corte di Appello di Genova, di nostro più diretto e percepibile interesse, con l'avvertenza, però, che i problemi che lo riguardano sono perfettamente speculari a quelli dello intero territorio nazionale e coincidenti con essi, sicché, in relazione a molteplici aspetti, la trattazione sarà unitaria.
Eviterò, inoltre, di fare analitiche indicazioni, rinviando, al riguardo, ai prospetti statistici allegati.
Mi limiterò, invece, ad enunciazioni di carattere generale, che meglio possano servire a fare percepire lo stato della giustizia e ad inquadrarne l'andamento.


GIUSTIZIA CIVILE


Per quanto riguarda la giustizia civile, va segnalato che la litigiosità è fenomeno che mantiene costanti i suoi dati statistici e di tanto risentono le pendenze, leggermente diminuite ma comunque ugualmente elevate nei Tribunali e in crescita in Corte di Appello. La Corte di Appello, d'altro canto, è divenuta organo distrettuale di gravame per tutte le sentenze di primo grado, comprese quelle in materia di lavoro, in relazione alle quali ultime non può non segnalarsi l'aggravio determinato dalla attribuzione al giudice ordinario del contenzioso di pubblico impiego, regolato da discipline e normative particolari non ancora sufficientemente metabolizzate.
I tempi di definizione dei processi in primo grado possono mediamente indicarsi in poco più di tre anni. Va solo osservato che essi potrebbero essere ridotti in termini più accettabili se i giudici singolarmente non avessero carichi eccessivi, sicché il passaggio delle cause a sentenza è subordinato allo smaltimento dei necessari tempi di attesa.
Alcune formalità imposte dalle modifiche apportate al codice di rito, inoltre, appesantiscono i tempi di trattazione dei processi. Si cita, quale esempio, l'interrogatorio libero delle parti, anche quando appare evidente la sua inutilità per la irriducibilità dei contendenti o per la natura della controversia.
Si ricorda, ancora, la facoltà prevista, nella fase iniziale del giudizio, dagli artt. 180, 183 e 184 cpc, di scambio di memorie, che appesantisce il giudizio e lo allontana, comunque, dal modello che si intendeva privilegiare e, cioè, una trattazione orale e, quindi, rapida e concentrata nel tempo, della causa.
Rimane, insoluto, inoltre, il problema della effettiva esecuzione delle sentenze, che rischiano di rimanere titoli astratti privi di possibilità concreta di ristabilire gli equilibri violati o per la originaria impossidenza del debitore o perché questi, nelle more, si è spogliato dei suoi beni o, infine, per inadeguatezza del sistema processuale, ispirato ad ormai remoti principi ricavati da una realtà giuridica superata.
Sempre in materia civile, notevole il contributo statistico che i giudici di pace hanno dato, sia in relazione al numero dei processi smaltiti sia in relazione ai tempi abbastanza solleciti di definizione.
Il problema che si pone, invece, è se è sufficiente, ai fini del buon andamento della giustizia, che i processi vengano comunque definiti o non rilevi piuttosto la qualità delle decisioni rese.
E, a tal riguardo, non si può non avanzare riserve sulla professionalità e diligenza di taluno dei Giudici di Pace, tanto più che il Presidente di un Tribunale del Distretto ha segnalato errori nelle decisioni così grossolani da far seriamente dubitare della buona fede di chi li ha commessi.
Aggiungo, al proposito, le dirette esperienze fatte come componente di diritto del Consiglio Giudiziario che, in sede disciplinare nei confronti dei Giudici di Pace, si è dovuto confrontare con situazioni assai prossime al grottesco e certamente lesive del prestigio della funzione.


GIUSTIZIA MINORILE


Per quanto riguarda la giustizia minorile, va osservato che la quantità delle domande di adozione si mantiene sempre molto elevato a fronte di un ridotto numero di bambini adottabili.
Il Presidente del Tribunale per i Minorenni segnala che l'iter adozionale, attraverso Enti autorizzati il cui numero è aumentato a dismisura, è gravato da costi esorbitanti, che precludono l'adozione a coppie valide ma non in grado di sostenere "oneri economici dell'ordine di decine di milioni di vecchie lire".
In tema di adozione e di affidamento dei minori assai impegnativo è anche il lavoro della Corte di Appello, davanti alla quale si apre, per la prima volta, una complessa istruttoria. Ne consegue un pesante aggravamento degli oneri processuali del grado di appello e talora vi è rischio d'interferenza con le ulteriori iniziative gestionali del Tribunale per i Minorenni.
In relazione alla delinquenza minorile va segnalato un non allarmante incremento in termini numerici delle denunce a carico di minori.
Significativo, invece, il dato riferito ai reati di maggiore allarme sociale (due omicidi volontari e tre tentati omicidi nel periodo in esame, a fronte di due soli tentativi di omicidio nel periodo precedente) e, soprattutto, l'incremento dei reati sussumibili nel concetto di violenza giovanile. Le denunce per lesioni gravi o gravissime o aggravate dall'uso delle armi, infatti, sono passate da 37 dello scorso anno a 104 e quelle relative alle armi da 34 a 91.
Relativamente ai reati contro il patrimonio, viene segnalato il coinvolgimento di minori infraquattordicenni, con ogni verosimiglianza utilizzati da adulti che lucrano i profitti.
Mentre pressoché stazionario rimane il numero dei reati attribuiti a minori di nazionalità italiana, notevole incremento si registra per gli extracomunitari, nei cui confronti -come in relazione ai nomadi- non appaiono seriamente praticabili le misure cautelari delle prescrizioni o della permanenza in casa né applicabili le sanzioni sostitutive e tanto meno percorribile la via della "messa alla prova" per l'impossibilità di predisporre progetti utili, seri e credibili.


GIUSTIZIA PENALE


Le indagini svolte nel periodo interessato hanno confermato l'inserimento nel Distretto di associazioni criminali che per gli obbiettivi, le modalità operative ed i collegamenti con similari consorterie esistenti nelle regioni di origine degli associati, possono qualificarsi a pieno titolo di stampo mafioso, con integrazione della fattispecie criminosa prevista dall'art. 416 bis c.p.
Le attività di interesse delle associazioni sono quelle tradizionali, ossia lo spaccio di stupefacenti ed il controllo del gioco d'azzardo in tutte le sue articolazioni.
Di grande rilievo -anche per l'impegno investigativo che ha richiesto in campo internazionale- un filone di indagini riferito ad associazioni criminali albanesi dedite allo sfruttamento della prostituzione con modalità di assoggettamento violento delle vittime molto prossime alla schiavitù.
Non risultano accertate infiltrazioni di gruppi mafiosi nei settori economici di interesse della regione né nel comparto degli appalti e dei servizi pubblici.
Permangono le difficoltà di conseguire risultati positivi mediante appropriate misure di prevenzione nei confronti dei patrimoni mafiosi.
La impossibilità, infatti, per la Polizia Giudiziaria di reperire informazioni univocamente utilizzabili, anche perché spesso gli associati sono solo terminali di cosche radicate in uno o più zone lontane e diverse del territorio nazionale, ha inevitabilmente determinato nella giurisprudenza locale orientamenti restrittivi.
Si ha fiducia che migliori risultati potranno essere conseguiti, per effetto di nuovi indirizzi operativi concordati con le Procure della Repubblica operanti nel Distretto in applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione con recente pronuncia, che ha ritenuto che le misure del sequestro e della confisca possano essere disposte nei confronti di persone definitivamente condannate per alcune tipologie di reati anche in sede di esecuzione, quando, cioè, è venuta meno la presunzione di innocenza.
Secondo il dato statistico, i reati contro la pubblica amministrazione sembrerebbero in diminuzione.
Per quelli di abuso in atti di ufficio previsti dall'art. 323 cp il fenomeno può essere attribuito alla nuova formulazione della norma, che ha ridotto gli spazi di rilevanza penale e, quindi, di intervento degli organi inquirenti.
Va avvertito, contemporaneamente, che tale diminuzione non appare significativa della effettiva cessazione di condotte integratrici dei reati di corruzione e/o di concussione, in ordine ai quali è opinione diffusa -semmai- che davanti all'aggravato rischio di sanzione penale sono aumentate le tariffe e le misure preventive e precauzionali degli autori per impedirne l'emersione.
E' elevata la presenza di cittadini stranieri specie extracomunitari.
Il dato non suscita allarme sociale in una regione come la Liguria che, per le sue caratteristiche portuali, è avvezza ai rapporti multietnici.
E' da segnalare, però, che molti sono i clandestini, provenienti soprattutto dai paesi dell'est europeo e del Nordafrica che, non integrati nel tessuto economico e costretti a vivere e sopravvivere di espedienti, sono dediti ad attività illecite prevalentemente nel campo dei reati contro il patrimonio, del traffico di stupefacenti e dello sfruttamento della prostituzione.
L'impegno di contrasto delle forze di polizia giudiziaria ha portato all'espulsione nel periodo in riferimento di 534 cittadini extracomunitari.
Le attività di controllo delle forze dell'ordine, in ogni caso, vengono rese difficoltose perché -paradossalmente- la Liguria, che è terra di confine, manca di un qualsivoglia centro di accoglienza per extracomunitari non regolari, sicché il controllo stesso si conclude sovente con l'inutile ed ovviamente inevaso ordine di presentarsi l'indomani in Questura.
Si confida che la nuova legge mirata alla emersione del lavoro extracomunitario sommerso possa valere a ridurre, se non eliminare alla radice, il fenomeno.
Il dato statistico riferito agli omicidi consumati e tentati non manifesta linee di tendenza modificatrici rispetto ai parametri dei precedenti periodi.
Non sono stati commessi - o denunziati - sequestri di persona a scopo di estorsione, segno evidente che le organizzazioni criminali sono impegnate in attività più lucrose ed a minor rischio, quali potrebbero essere i traffici di sostanze stupefacenti o di armi e, soprattutto, le immigrazioni clandestine.
In notevole aumento le rapine, soprattutto in case di abitazione o in danno di singole persone o di istituti bancari.
E' ragionevole ritenere che il dato possa essere messo in relazione all'aumentato numero di extracomunitari privi di risorse economiche, oltre che attribuito a tossicodipendenti spinti dall'urgenza di procacciarsi il denaro per la dose successiva.
Si ritiene di potere affermare, a proposito di reati che suscitano allarme sociale, che quelli riferiti alle sostanze stupefacenti hanno assunto rilievo sempre più preoccupante, sia che si voglia considerare la Liguria come base operativa delle cosche per il transito sia che si preferisca ritenerla luogo di consumo, con tutte le problematiche criminogene conseguenti.
Cosa certa è che bisognerebbe porre mano ad un serio ripensamento della normativa vigente, che si è da subito rivelata inadeguata a contrastare il fenomeno e che ha creato l'effetto perverso di una sorta di rassegnato adeguamento psicologico ad esso, pur con la consapevolezza dei danni anche permanenti agli assuntori e dei costi sociali che ne conseguono.
In relazione ai reati sessuali il dato statistico non evidenzia modifiche dei reati denunciati nel capoluogo, ma un preoccupante incremento nel resto del Distretto, di difficile interpretazione. Non si hanno elementi, cioè, per comprendere se si tratta di un incremento obbiettivo nella commissione di tale tipologia di reato o, più semplicemente, della rimozione delle remore sociali e di costume che avevano dissuaso dal rendere pubblici i fatti.
Pochi, tuttavia, i reati sessuali in danno di maggiorenni mentre quelli in danno di minori, quasi sempre in età prepubere, risultano frequentemente avvenuti in ambito familiare ovvero ad opera di persone che, comunque, hanno con i minori rapporti di frequentazione.
Pressochè stazionario, rispetto al periodo precedente, il dato statistico riferito agli omicidi colposi, connessi a violazione delle norme antinfortunistiche sul lavoro, di cui rimangono invariate le tipologie e le modalità.
In numero crescente, invece, le denunce per malattie professionali dovute ad esposizioni all'amianto, tra cui non infrequenti casi di mesotelioma.
Trattandosi di patologie a lunghissima incubazione che può giungere fino a 20-30 anni, è possibile che i procedimenti instaurati siano in buona parte destinati alla archiviazione, riguardando esposizioni a fattori patogeni avvenuti in epoca remota, quando- cioè - non esisteva normativa che contemplasse questo tipo di rischio.
E' interessante segnalare che alla Procura della Repubblica di Genova risultano pervenute numerose denunce per malattie professionali collegate alla insorgenza di un particolare tumore alla vescica (urotelioma vescicale), che recenti studi epidemiologici attribuiscono alla esposizione al nero-fumo.
Sono in corso consulenze tecniche per verificare la patogenesi della malattia oltre che, tra l'altro, il nesso di causalità e, con esso, il fondamento della notizia criminis.
Il dato statistico riferito ai reati ambientali non rappresenta variazioni significative in materia di violazioni urbanistiche ed edilizie, che vengono rese possibili, nel maggior numero dei casi, dalla disattenzione delle Amministrazioni locali in relazione al controllo del territorio, nonostante l'opera attenta delle associazioni ambientaliste che segnalano prontamente violazioni ed abusi.
E' fin troppo ovvia, del resto, la efficacia risolutiva degli interventi preventivi ad inizio dell'abuso edilizio, mentre la eventuale successiva attività repressiva non consente di conseguire risultati soddisfacenti. Rimane remota, infatti, in mancanza di supporti operativi, la fattibilità in via repressiva delle demolizioni, pur dopo la nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che, preso atto dell'inerzia delle amministrazioni locali, ha riconosciuto ai Pubblici Ministeri i relativi poteri.
I ricorrenti provvedimenti di condono, d'altro canto, finiscono con l'innescare in materia una inevitabile spirale criminogena.
La depenalizzazione di numerosi reati connessi alla materia dell'inquinamento delle acque ha alleviato, sia pure in maniera trascurabile, il carico delle Procure della Repubblica. Ha fatto venire meno contemporaneamente, però, la remora costituita dall'intervento del Giudice e dalla sanzione penale, con l'aggravante che le autorità amministrative preposte all'irrogazione delle sanzioni non risulta siano entrate dovunque a regime.
Nella realtà, dunque, la situazione si è ulteriormente deteriorata.
Vengono segnalate, da parte delle Procure della Repubblica nel cui territorio rientrano territori boschivi, recrudescenze di incendi anche di vaste proporzioni, commessi nel maggior numero dei casi da ignoti.
Quanto sopra a dimostrazione della esattezza della opinione da più parti espressa che l'inasprimento delle pene, peraltro di problematica esecuzione, per come sarà detto in seguito, non vale a diminuire il numero dei reati, essendo determinante, invece, una efficace opera di prevenzione, attuata, per la materia che ci occupa, con un accurato e costante controllo del territorio.
Assolutamente nella norma l'organizzazione e il funzionamento degli uffici esecuzioni presso le Procure, in relazione ai quali non è stata segnalata o lamentata alcuna disfunzione o anomalia.
Negli Uffici di Sorveglianza la situazione attuale è caratterizzata da notevole vischiosità delle procedure, soprattutto in relazione alla concessione delle sanzioni alternative a condannati liberi mai transitati nel circuito carcerario.
Nonostante il notevole incremento delle pratiche in trattazione, però, va detto, che il Tribunale di Sorveglianza di Genova ha ridotto con ammirevole impegno l'arretrato, aumentando il numero delle decisioni emesse e riportando al termine pressochè fisiologico di quattro mesi circa il tempo occorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza e l'inizio della espiazione della pena.
Va subito avvertito, al riguardo, che l'accresciuta produttività dell'Ufficio non è frutto di calo di tensione nell'espletamento delle funzioni, in quanto è anche aumentato, rispetto al periodo precedente, il numero dei provvedimenti di rigetto delle istanze di concessione di misure alternative sia nei confronti di condannati liberi che detenuti.
Secondo i dati forniti dal Tribunale di Sorveglianza, inoltre, risultano concessi 591 permessi a fronte di 1280 richieste.
I permessi concessi non hanno dato luogo a particolari problemi, tranne rarissimi casi di evasione.
La situazione carceraria è caratterizzata da eccessivo sovraffollamento e in taluni casi, dalla vetustà ed inadeguatezza delle strutture, oltre che dalla carenza di organismi istituzionali di sostegno per la rieducazione ed il reinserimento sociale dei detenuti.
Gli istituti carcerari di La Spezia e Savona detengono il primato della mancanza dei requisiti minimi di vivibilità, anche se va detto che per Savona, successivamente al periodo in esame, sembra avviata a soluzione la pratica per la costruzione di una nuova struttura carceraria, giacché, dopo il superamento di vivaci diatribe campanilistiche, ne è stata finalmente identificata l'area di ubicazione.
La Casa di reclusione di Massa, invece, secondo i dati forniti dal Magistrato di Sorveglianza, detiene il primato del sovraffollamento. Al 30 giugno 2002, infatti, vi erano ristretti 237 detenuti a fronte di una capienza di 82 unità.
La situazione suddetta, anche per l'aumentato indice di promiscuità e per il prevalente numero di detenuti extracomunitari e tossicodipendenti, rende ingestibili le carceri e ne fa strutture ben lontane dal modello rieducativo indicato dalla Carta Costituzionale e dal legislatore ordinario.
Le patologie più frequenti sono quelle collegate allo stato di tossicodipendenza, quali HIV, epatiti, malattie sessualmente trasmesse.
Si sono registrati alcuni casi di tubercolosi ed aumentate risultano le patologie parassitarie e quelle dermatologiche.
Si sono verificati tre suicidi.
Non si insisterà mai sufficientemente sulla necessità di provvedere alla costruzione di nuove strutture carcerarie e al rammodernamento di quelle esistenti, tranne -ovviamente- che non si vogliano preventivamente costituire alibi per la concessione di amnistia e indulti.
La edilizia giudiziaria soffre di uguali e, spesso, allo stato insolubili problemi, perché gli uffici debbono essere adeguati alla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro di cui alla legge 626/1994 e successive modificazioni, incompatibile con le strutture attuali sorte quando ben minore e diversa era la attenzione alle relative problematiche.
Le strutture e gli operatori giudiziari, inoltre, debbono essere garantiti da possibili attentati ed azioni terroristiche ed , al riguardo, si registra un insanabile contrasto tra le direttive impartite dal Ministero dell'Interno, volte al recupero delle forze dell'ordine preposte alla sorveglianza ed orientate a delegare le relative funzioni alla vigilanza privata, e le effettive esigenze di sicurezza.
E' certamente paradossale che lo Stato affidi a vigilantes privati l'esercizio di una sua funzione fondamentale, quale è l'amministrazione della giustizia e, a margine, non può non rilevarsi la discutibilità del parere espresso dalla Avvocatura Generale dello Stato e posto a base della circolare del Ministero degli Interni, che identifica e confonde l'obbligo della custodia della proprietà degli immobili, facente capo normalmente ai Comuni, con quello di garanzia della sicurezza della funzione giudiziaria, che non è prerogativa comunale.
Preziosa come sempre l'opera della polizia giudiziaria in tutte le sue articolazioni ed il contributo indispensabile e fattivo dato nell'espletamento delle indagini, sia sulla terra ferma che, ad opera della Guardia Costiera, nelle acque territoriali.
Altrettanto essenziale l'apporto delle Sezioni di Polizia Giudiziaria presso le Procure, i cui rapporti con i magistrati sono improntati, pur con qualche eccezione, a correttezza e spirito collaborativo.
Una qualche riserva deve solo esprimersi in relazione ai fin troppo numerosi fascicoli di indagini per reati i cui autori rimangono ignoti, il che non appaga certo le aspettative delle parti offese e rende, comunque, urgente ed indilazionabile un più attento controllo del territorio.
Tra i reati a valenza politica vanno ricompresi quelli connessi al vertice dei Capi di Stato e di Governo dei paesi G8 tenutosi in Genova dal 19 al 21 luglio 2001, che, per la loro eccezionalità e rilevanza, hanno costituito oggetto di non ancora esaurita attenzione dei mass media nazionali ed internazionali e che, recentemente, sono tornati di allarmante attualità per la collocazione di ordigni incendiari ed esplosivi in obbiettivi sensibili, con ogni probabilità ad essi riconducibili.
Le relazioni degli organi inquirenti ed elementi conoscitivi direttamente acquisiti, mi forniscono dati sufficienti per una valutazione globale degli accadimenti, pur con l'avvertenza che non mi è consentito scendere nei dettagli, in quanto i procedimenti penali che ne sono scaturiti sono tuttora sub iudice.
Diversi segnali e lavoro di intelligence avevano reso chiaro che le manifestazioni preannunziate per quei giorni avevano obiettivi destabilizzanti per la finalità di impedire che il vertice dei Capi di Stato e di Governo potesse avere regolare svolgimento.
Un attentato dinamitardo commesso nei giorni precedenti nella Caserma dei Carabinieri di S. Fruttuoso mediante l'invio per posta di un ordigno, che esplodendo ferì gravemente un militare dell'Arma, sembrò il preannuncio di più violente aggressioni alle istituzioni.
Ad ogni modo, da ogni parte d'Italia ed anche dall'estero confluirono in Genova circa 300.000 persone, che trovarono sistemazione negli spazi loro assegnati, da dove presero le mosse per le manifestazioni dirette prevalentemente verso la parte della città dove avveniva l'incontro dei Capi di Stato, qualificata come zona rossa. E' certamente vero che la stragrande maggioranza dei convenuti in città aveva intenzioni pacifiche ed esercitava il sacrosanto diritto di manifestare il proprio pensiero, che, nella specie, non coincideva affatto con gli interessi globalizzanti dei capi dei così detti Stati industrializzati.
E' altrettanto vero, però, - e il dato trova conferma nelle indagini svolte da altra Procura della Repubblica - che tra la folla si infiltrarono gruppi, che della violenza avevano fatto il proprio credo e che la violenza esercitarono appunto sotto la copertura della moltitudine, in cui si confondevano prima e dopo il compimento delle violente azioni di guerriglia urbana, cui si erano all'evidenza addestrati.
Cosa altrettanto certa, poi, che i manifestanti pacifici non isolarono i violenti, come si verificò recentemente a Firenze e a Cosenza, non dimostrarono nei loro confronti alcuna reazione di rigetto, anzi -accogliendoli di volta in volta nelle loro fila- diedero l'impressione di fornire adesione morale alle loro gesta, apparendo implicitamente contigui ai violenti e conniventi con i loro comportamenti.
In definitiva Genova la Superba, per due giorni, fu impotente, mortificata, terrorizzata, in balia di una folla in tumulto, in cui era impossibile distinguere i dimostranti pacifici da quelli violenti e che distruggeva quanto incontrava sul proprio cammino.
Furono assaliti le caserme della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, la Casa Circondariale e numerosi uffici pubblici. Furono aggrediti e talvolta distrutti gli automezzi delle Forze dell'ordine e, proprio a seguito dell'accerchiamento di un blindato dei Carabinieri, si verificò l'esplosione di corpi d'arma da fuoco che attinsero, uccidendolo, Carlo Giuliani, che in quel momento pare brandisse un estintore nell'atto di scagliarlo contro i carabinieri assediati e a mal partito, fiancheggiato da altri manifestanti a loro volta armati di strumenti atti ad offendere.
Furono, però, devastati e saccheggiati anche beni privati: istituti bancari, negozi, supermercati. Furono incendiate e distrutte 296 autovetture prevalentemente rimaste in sosta sulla pubblica via. Il Comune di Genova, delegato al risarcimento dei danni, ha liquidato finora Euro 3.070.548,45 mentre pendono tuttora in istruttoria richieste di danni per ulteriori Euro 2.022.425,27.
Sono raccapriccianti le immagini riprese da un operatore televisivo e agli atti del processo di una donna inerme sopraffatta e selvaggiamente percossa dalla folla.
Condividendo il pensiero democratico di Voltaire e parafrasandone la massima, possiamo dire tutti di essere pronti al sacrificio per consentire a chiunque di manifestare il suo pensiero, anche se non dovessimo condividerlo.
Credo, però, sia difficile sostenere fondatamente che tali violenze possano essere ritenute manifestazione democratica di libero pensiero. Cosa c'entrano con le manifestazioni di libero pensiero i passamontagna per non farsi identificare, le comunicazioni criptate per non renderne percepibile l'oggetto , le armi improprie brandite, le bottiglie molotov lanciate, gli schermi di plastica collocati in testa ai cortei! Non credo che rivoluzione e democrazia possano essere considerate seriamente compatibili, non fosse altro perché quest'ultima è retta dall'elementare ma fondamentale principio che la libertà di ciascuno di noi ha termine quando inizia la pari libertà degli altri.
Bisogna dare pubblico atto alle forze dell'ordine del successo ottenuto riuscendo a salvaguardare la così detta zona rossa della città, in cui si teneva la riunione dei Capi di Stato, impedendo efficacemente che la riunione stessa venisse turbata o impedita, evitando tra l'altro il discredito internazionale del nostro Paese.
E va detto, a margine, che se per avventura i manifestanti avessero infranto le barriere poste a difesa della zona rossa, ben difficilmente si sarebbe potuto evitare spargimento di sangue ad opera degli agguerriti servizi di sicurezza stranieri.
Le forze dell'ordine, al contrario, hanno completamente fallito il loro compito di tutela delle libertà democratiche dei cittadini in tutto il resto della città: non importa se per non avere saputo valutare l'entità del fenomeno, per inesperienza, per disorganizzazione, per mancanza di direzione appropriata.
Cosa certa che la città è rimasta in balia delle devastazioni e dei saccheggi della folla tumultuante e devastatrice e ciò doveva essere impedito.
Quando tutto era finito e le manifestazioni erano pressoché in via di esaurimento, sennonché, Forze di Polizia fecero irruzione per eseguirvi perquisizione nella Scuola Diaz, dove era riunito per passare la notte qualche centinaio di dimostranti, che, secondo le accuse, furono sottoposti a spietati pestaggi. Secondo le accuse, uguali trattamenti disumani e violenti avrebbero subito i dimostranti portati nella caserma della Polizia di Bolzaneto a seguito di fermo od arresto ed, inoltre, gratuite violenze sarebbero state esercitate nei confronti di cittadini pacifici ed inermi nel corso delle manifestazioni di piazza.
Se le accuse sono vere nei termini prospettati, le violenze esercitate dalla Polizia non troveranno esimenti codificate e ne risponderanno gli autori. Di tali fatti, tuttora sub iudice -come già detto- non mi è consentito occuparmi.
Posso solo garantire che se verranno accertate responsabilità, non saranno fatti sconti a nessuno.


Questioni di legittimità costituzionale sollevate

 

  1. La Corte d'Appello di Genova ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, con due ordinanze del 29 e 31 Ottobre 2001, degli artt. 1 e 2 della legge 24.3.2000, n. 26, della Regione Liguria, in relazione agli artt. 3. 24. 111 e 117 della Costituzione.
  2. Il Tribunale di Genova:
    1. con ordinanza 9.7.2001, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, primo comma n. 4, cpc in relazione all'art. 111 della Costituzione. La questione è stata dichiarata inammissibile dalla Corte Costituzionale con ordinanza 10-18.7.2002;
    2. con 5 ordinanze del 2.5.2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 464 n. 3 cpp (in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione), "nella parte in cui esclude la possibilità di richiedere l'ammissione all'oblazione dei contravventori ex art. 186, commi 2 e 6, del C.d.S. per i quali l'esercizio dell'azione penale con emissione del decreto penale di condanna, sia avvenuto prima dell'entrata in vigore del d. lgs. 28 agosto 2000, opposto dagli stessi".

 

  1. Il Tribunale della Spezia ha sollevato questioni di costituzionalità:
    1. con ordinanza 17.6.2002, degli artt. 1 e 2 della legge 24.3.2000, n. 26. della Regione Liguria, in relazione agli artt. 3. 24 e 117 della Costituzione;
    2. con ordinanza 27.2.2002, degli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 265/1992, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Espressa, nei termini sopra riferiti, la situazione dell'amministrazione della giustizia nel distretto della Corte di Appello di Genova potrebbe indurre a considerazioni moderatamente ottimistiche.
Purtroppo le cose non stanno così.
E' certamente vero che, confrontata con altre realtà giudiziarie, quella ligure è di gran lunga migliore.
Ciò non ostante, però, essa è ben lontana non dico da condizioni ottimali ma da semplici standard di sufficienza.
Se altro non vi fosse a dimostrare l'assunto, basta richiamare l'elevatissimo numero -veramente al di sopra di ogni livello di guardia- dei fascicoli processuali penali che vengono definiti per prescrizione dei reati ed i tempi lunghissimi della giustizia civile.
Per compendiare il concetto, dunque, ritengo che si possa responsabilmente dire che anche in questo Distretto, come altrove, l'apparato giudiziario non è in grado di fare fronte alle domande di giustizia, che aumentano in maniera direttamente proporzionale alle disfunzioni che si registrano in altri settori dell'apparato pubblico e che, se non soddisfatte, rischiano di sfociare in forme deteriori di giustizia alternativa.
Cause principali - a parte le carenze legislative di cui parlerò tra poco- sono le inadeguatezze degli organici di magistrati e funzionari e la carenza di strutture di supporto.
Vero è che gli organici risultano molto spesso coperti e che le strutture di formazioni del personale sia di magistratura che amministrativo sono molto attive nell'opera di accrescimento dei livelli professionali.
Gli organici, però, sono tutt'altro che sovrabbondanti sicchè basta l'assenza in un ufficio anche di una sola unità per provocarne una crisi che poi finirà per trascinare gli effetti nel tempo.
Ormai da tempo sono bloccati i concorsi e le assunzioni e una recente circolare ministeriale (n.1836/BLS/4535 del 21/11/2002 -Utilizzazione di personale proveniente da altre amministrazioni o enti), con comminatoria di responsabilità disciplinari e contabili per i capi ufficio, ha posto il divieto di utilizzo, per compiti diversi da quelli investigativi, di appartenenti alle forze dell'ordine, che costituivano, nella sostanza, l'unico apporto operativo concreto per la gestione degli uffici giudiziari e, soprattutto, delle Procure della Repubblica.
L'istituto dell'applicazione o della supplenza da un ufficio all'altro, che è l'unico rimedio rimasto ai Capi della Corte, spesso non è praticabile -chiedo scusa se banalizzo il concetto- non fosse altro che per la teoria della coperta troppo corta: se la tiri da una parte scopri la testa e dall'altra i piedi.
L'Amministrazione della Giustizia nel Distretto della Corte di Appello di Genova, in buona sostanza, soffre gli stessi limiti e le stesse disfunzioni che si registrano nel resto del territorio nazionale.

La cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario, come ho detto in premessa, vuole offrire una propizia occasione di dibattito sui temi salienti della giustizia e soprattutto per analizzarne le disfunzioni e per prospettarne le possibili soluzioni.
In questa ottica formulerò le seguenti considerazioni.
I rimedi legislativi inseriti nel nostro sistema processuale non pare abbiano significativamente inciso sulla crisi dell'amministrazione della giustizia.

  1. Il codice di procedura penale non ha conseguito gli effetti proclamati per il fallimento degli istituti deflativi costituiti dai riti alternativi. La concreta e tutt'altro che remota prospettiva della prescrizione, del resto, non è certamente fattore stimolante perché gli imputati se ne avvalgono.
    Il ricorso più frequente a tali istituti oggi consentito in Corte d'Assise o nel dibattimento di appello, si risolve in un espediente premiale per imputati, anche di efferati delitti, la cui responsabilità penale è inequivocabilmente accertata, che suscita ancora una volta lo sconcerto e la incomprensione dei cittadini, e ne urta il senso morale, perché non riescono a posporre ad esigenze deflative le aspettative di proporzione tra reato commesso e pena irrogata.
  2. La istituzione del giudice unico di primo grado ha costretto ancora una volta l'apparato giudiziario - che aveva appena metabolizzato le novità introdotte dal codice di procedura penale - ad una nuova rincorsa verso la riorganizzazione e l'assestamento. Impresa, peraltro, di difficile realizzazione, perché allo sperato recupero di magistrati non faceva riscontro il reperimento del personale ausiliario necessario e dei mezzi strumentali occorrenti per garantirne la operatività. Senza dire, poi, che l'auspicato aumento delle udienze dibattimentali del giudice monocratico comportava necessariamente un corrispondente impegno - anche numerico - dei pubblici ministeri, il cui organico non è stato adeguatamente potenziato.
    A ciò si aggiunga l'obbligatorietà della presenza del pubblico ministero togato - a differenza che nel giudizio davanti al Pretore - nei procedimenti per reati puniti con pena edittale superiore a quattro anni e nelle udienze davanti al GUP per reati già di competenza del Pretore per i quali le Procure della Repubblica procedevano con citazione diretta, ma nel nuovo sistema processuale destinati all'esame del giudice collegiale.
    La competenza penale del Giudice di Pace, inoltre, se ci si augura possa in un futuro, si spera prossimo, alleviare il carico del Tribunale, comporta già ulteriore aggravio per le Procure della Repubblica per lo meno nelle fasi di indagine e predibattimentali, sicché detti uffici non potranno reggere il carico delle competenze senza adeguato incremento di organico .
    Si verificherà, inoltre, quanto già avviene in sede dibattimentale davanti al Tribunale in composizione monocratica, dove consentito: che l'accusa, cioè, debba essere affidata di regola a vice procuratori onorari o ad ufficiali di Polizia Giudiziaria. Ciò, però, se garantisce la presenza formale di un pubblico ministero in udienza, non sempre può soddisfare serie e concrete esigenze di giustizia, perché la prova si forma in dibattimento e una parte non professionalmente attrezzata potrebbe arrecare danni processuali irreversibili.
  3. Vischiosità processuale ha determinato la introduzione dell'art. 415 bis c.p.p., per le difficoltà di notifica agli indagati dell'avviso di chiusa indagine e per gli adempimenti successivi con finalità spesso esclusivamente dilatorie. Le nuove regole in materia di notificazioni introdotte dall'art. 148 cpp novellato, inoltre, hanno finito per complicare ulteriormente la vita delle Procure della Repubblica.
  4. Nel rito civile la istituzione delle Corti di Appello quali giudici unici per le impugnazioni in materia di lavoro non poteva non determinarne una perdita di efficienza se non accompagnata da un correlativo potenziamento dell'organico.
  5. La attribuzione alla giurisdizione del giudice ordinario, infine, delle controversie in materia di pubblico impiego, se ha alleggerito i TAR, ha correlativamente gravato i Tribunali e le Corti di Appello senza, peraltro, - si ripete - incremento apprezzabile e consequenziale d'organico.

Per concludere sul punto, dunque, va detto che per la soluzione della crisi della giustizia ed il recupero della efficienza dell'apparato è diffusa convinzione che l'unico rimedio al momento, e prima che la situazione si aggravi fino a un punto di non ritorno, è quello di un massiccio ed immediato aumento dell'organico della magistratura - oltre che, ovviamente, del personale e delle strutture di supporto - escogitando sistemi concorsuali di rapida conclusione, che riescano a coniugare la scelta dei più preparati e la non necessità di tempi lunghi per la formazione.
Considerato, in questa ottica, che buona parte dell'Amministrazione della Giustizia è stata delegata al volontariato di giudici non togati (giudici di pace, vice pretori, vice procuratori, G.O.A. ed altri), nella stragrande maggioranza iscritti negli albi professionali forensi, dovrebbe seriamente riflettersi se non convenga aprire i ruoli della magistratura agli avvocati di comprovati requisiti morali e di esperienza professionale, mediante un concorso ad essi riservato che realizzi il reclutamento straordinario dei migliori, che hanno conseguentemente necessità di un più breve tirocinio e che, entrando quali effettivi nell'ordine giudiziario, ne assumano anche tutti gli obblighi deontologici connessi alla specificità delle funzioni.
La soluzione può non piacere - e non piace - ma è giocoforza non indulgere a gelosie di casta se si acquista consapevolezza che la giustizia in Italia versa in condizioni di emergenza.
D'altro canto è illuminante un precedente storico nella specifica materia: gli avvocati che furono immessi nei ruoli della magistratura nella diversa emergenza costituita dal dopoguerra - i così detti Gullini e Togliattini - non risulta siano stati da meno rispetto ai colleghi togati, almeno per quanto è stata esperienza dello scrivente.

Per migliorare il sistema ed evitare disfunzioni da più parti lamentate, inoltre sarebbero auspicabili interventi legislativi nei seguenti settori:

  1. I termini per le indagini preliminari dovrebbero essere rivisitati e prolungati. Fallita, con il fallimento dei riti alternativi, la speranza riposta negli effetti salvifici del nuovo codice di procedura penale, è a tutti evidente che il pubblico ministero non può reggere il carico delle sue incombenze negli stringati tempi previsti;
  2. Il Procuratore Generale, in caso di avocazione di indagini, ha termine non prorogabile di 30 giorni per esaurirle a fronte dei 18 mesi risultati non sufficienti concessi ai Procuratori della Repubblica.
    Poiché il Procuratore Generale ha competenza distrettuale, appare evidente la impossibilità seria di fare ricorso all'istituto per la risibilità dei termini concessi.
    Detti termini conseguentemente dovranno essere adeguatamente ampliati.
  3. Poiché la determinazione della pena ai sensi dell'art. 444 cpp non trova più base esclusivamente nell'accordo tra le parti pubblica e privata ma necessita dell'avallo del giudice, non trova più sufficiente giustificazione la soglia di pena fissata in due anni.
    Potrebbe, dunque, valutarsi una diversa disciplina del rito;
  4. Potrebbe studiarsi la possibilità di estendere l'istituto dell'oblazione, almeno per gli incensurati e in relazione a reati che non suscitano allarme sociale, anche per altre tipologie di illeciti, a condizione, eventualmente, che siano rimosse le conseguenze dei reati e risarciti i danni.
  5. Potrebbe consentirsi che davanti al GIP e con il rito dell'incidente probatorio, essendo garantito a pieno il contraddittorio, possano effettuarsi perizie al di fuori dei casi attualmente previsti, allo scopo di snellire ritmi e tempi dibattimentali;
  6. L'istituto della prescrizione trova fondamento nel tempo, dal fatto, trascorso e fatto trascorrere anche per inerzia dell'organo di accusa e, comunque, dell'apparato giudiziario.
    Orbene, questa ratio non è sostenibile quando l'imputato ricorre, sia pure in nome dello esercizio di un diritto, ad espedienti dilatori per impedire il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
    Dovrebbe valutarsi, quindi, quando ricorrono le condizioni suddette, la possibilità della sospensione dei termini prescrizionali.
  7. La magistratura di sorveglianza al momento della sua istituzione aveva sufficiente giustificazione ed era coerentemente inserita nel sistema processuale quale giudice preposto, dopo una congrua osservazione del condannato, alla individuazione della pena personalizzata più proficua per realizzarne la rieducazione ed il reinserimento sociale. Con la introduzione della così detta legge Simeoni - Saraceno, invece, il Tribunale di Sorveglianza applica le misure alternative ai condannati liberi senza avere mai avuto con loro alcun contatto e conoscendone la personalità e le specificità caratteriali al massimo attraverso la lettura della sentenza di condanna.
    Non vi è alcun motivo, dunque, perché le sanzioni sostitutive non vengano irrogate direttamente con la sentenza di condanna dal giudice del merito che ha conosciuto del fatto e del suo autore, quanto meno per la irrogazione della pena, senza innescare una ulteriore inutile fase processuale, articolata per gradi, più defaticatoria ancora se dovesse prevalere autorevole dottrina secondo la quale l'art. 111 della Costituzione novellato dovrebbe trovare applicazione anche nel giudizio di sorveglianza.
  8. Dovrebbe essere rimeditato il sistema delle impugnazioni, limitando a casi determinati l'appello e meglio precisando le censure deducibili mediante il ricorso per cassazione.
  9. Dovrebbe riflettersi se la motivazione della sentenza debba sempre essere redatta o non sia preferibile prevederne l'obbligo solamente a richiesta di parte;
  10. In materia civile, la trattazione collegiale dell'appello, con impossibilità di delegare ad un Consigliere l'assunzione delle prove, determina necessariamente un appesantimento del lavoro giudiziario.

Vero è che ai sensi dell'art. 345 cpc novellato, di norma non sono ammessi nuovi mezzi di prova. Ciò non toglie, però, che essi debbono essere ugualmente ammessi quando le richieste formulate in primo grado siano state ingiustamente rigettate.
Sarebbe opportuno, conseguentemente, ripristinare la possibilità di delega dell'assunzione della prova ad uno dei componenti del collegio giudicante.
La effettività della risposta sanzionatoria alla condotta illecita rappresenta punto nodale di ogni ordinamento giuridico.
Ad ogni precetto che faccia divieto di una determinata condotta deve necessariamente conseguire una sanzione in caso di violazione, per garantire l'effettivo equilibrio o riequilibrio delle posizioni giuridiche dei consociati.
Il paradosso del sistema giuridico vigente, però, è che esso rende dubbia all'origine la posizione di parità delle parti, risultando privilegiata quella dell'imputato, cui vengono concessi maggiori diritti e facoltà, e penalizzata quella della vittima del reato, relegata in sostanza ad un ruolo processuale marginale.
Nel settore del contrasto alla microcriminalità (furti, danneggiamenti, truffe, ricettazioni, omicidi colposi, etc.) che mina più da vicino la sicurezza pubblica, si registra il più inconciliabile contrasto tra le affermazioni volte al recupero della legalità e la legislazione "premiale" che rende pressochè inesistente il sistema sanzionatorio.
Le opposte forze politiche presenti in Parlamento si contendono di tanto in tanto la primogenitura del proposito di attuare maggiore rigore, ma la realtà è che per la legge Simeoni - Saraceno le condanne a pena non superiore a tre anni non vengono di fatto eseguite e al loro posto vengono irrogate sanzioni sostitutive e tra esse, prevalentemente, l'affidamento in prova al servizio sociale, ossia libertà piena con il disturbo di qualche visita o qualche telefonata degli assistenti sociali.
E' giusto che la pena, anche per indicazione costituzionale, tenda al recupero e al reinserimento sociale del condannato. La pena, però, ha o dovrebbe conservare sempre anche una funzione preventiva di deterrenza per sconsigliare le violazioni di legge.
Se tale funzione viene di fatto soppressa e si sa in partenza quale sarà in concreto l'esito finale del giudizio, sembra evidente non solo l'indebolimento del sistema penale ma anche lo scardinamento di una delle regole fondamentali della convivenza civile.
Ed allora, delle due l'una: o si ristabilisce la certezza e la effettività della pena o si abbia il coraggio di depenalizzare i reati che comportano tali tipi di condanne.
Così le forze di polizia faranno a meno di effettuare indagini nella sostanza virtuali e noi giudici eviteremo di amministrare tale giustizia virtuale, dedicandoci a compiti più producenti e proficui.
Ed, inoltre, sul piano della organizzazione giudiziaria:

  1. Gli organici della magistratura sono insufficienti, per come sopra evidenziato, ma la situazione è sistematicamente aggravata dai trasferimenti disposti senza contemporaneo rimpiazzo.
    Dovrebbe essere prevista, conseguentemente, come obbligatoria la contestualità dei movimenti, salvo casi eccezionali tassativamente indicati;
  2. Dovrebbe essere escogitata una automatica sostituzione, magari reciprocamente attingendo a circondari viciniori, dei giudici divenuti incompatibili per attività svolte, quali GIP, GUP od altro, nello stesso processo.
    Detta incompatibilità, infatti, rende non gestibili gli Uffici Giudiziari di piccole dimensioni, tranne che - ovviamente - non si valuti la necessità della loro soppressione;
  3. Della non praticabilità del potere di avocazione da parte delle Procure Generali ho già detto. Detti Uffici, dove prestano servizio professionalità collaudate di grado non inferiore a consigliere di Corte di Appello, sono stati gratificati di inutili orpelli, ma dal nuovo codice di rito sono stati retrocessi ad uffici privi di seria capacità di intervento e soprattutto nemmeno in grado di esercitare il controllo e la sorveglianza sui pubblici ministeri del Distretto che sembrerebbero loro delegati.
    Non è inutile richiamare l'attenzione sulla circolare del Consiglio Superiore della Magistratura "Limiti del compito di sorveglianza del Procuratore Generale sui magistrati e sugli uffici delle procure della Repubblica" del 1993 che non consente che il Procuratore Generale richieda ai Procuratori della Repubblica, per esaminarli, fascicoli processuali.
    Ed allora, per recuperare e utilizzare proficuamente le professionalità sprecate di tanti magistrati, delle due l'una: o le Procure Generali vengono rivitalizzate con l'attribuzione di compiti seriamente esercitabili ovvero debbono essere soppresse.
  4. E' allo studio la soppressione degli uffici giudiziari minorili, dei Commissariati per la liquidazione degli Usi Civici, dei Tribunali delle Acque, etc. Il coraggio riformatore dovrebbe andare ancora oltre.
    La distinzione tra giudici amministrativi e ordinari aveva una logica fino a quando i giudizi davanti ai primi avevano per oggetto lesioni di interessi legittimi che, per definizione, non potevano dare luogo a pretese risarcitorie.
    Mutata la giurisprudenza, nel senso, cioè, che può farsi luogo a risarcimento danni anche per lesione di interessi legittimi, dovrebbe coerentemente ritenersi la inutilità dei due distinti organi di giustizia, la cui coesistenza, peraltro, è fonte di interminabili diatribe sull'appartenenza della giurisdizione, con correlative incertezze del cittadino, che non sa a chi dovere chiedere giustizia e che corre il rischio di vedersela negata per meri bizantinismi formali.
    All'insegna della istituzione di un unico organo di giustizia, uguale discorso deve valere per le sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti.

A questo punto, consentitemi che io formuli una proposizione conclusiva.
Il vero male -l'aspetto di maggiore inefficienza dell'apparato giudiziario- sono i tempi lunghissimi -oserei dire biblici- dei processi fino alla sentenza definitiva.
E' una denuncia che io ho sentito annualmente ripetere dai Procuratori Generali sin da quando ero uditore giudiziario, ma non ho mai avvertito risposta seria, concreta, efficace che non si chiamasse -per la materia penale- amnistia o indulto.
Cesare Beccaria, che se ne intendeva, ha scritto qualche secolo fa che "quanto la pena sarà più pronta e vicina al delitto commesso, ella sarà tanto più giusta".
Per questi ritardi l'Italia ha quasi monopolizzato il contenzioso davanti alla Corte di Strasburgo per violazione dell'art. 6 della convenzione europea, ed ha corso seri rischi di essere espulsa a causa di una giustizia da terzo mondo. In altre parole, le disfunzioni della giustizia italiana avevano messo in crisi anche quella europea.
Davanti a tali pressioni internazionali, l'Italia non ha trovato di meglio che, con la legge Pinto, trasferire alle Corti di Appello la competenza sulle controversie per violazioni dei tempi ragionevoli dei processi, ma nulla ha fatto per eliminare o arginare alla base il fenomeno.
Né si dica che ciò fu fatto con la legge istitutiva del giudice unico perché nessuno dimentica che la legge prevedeva costo zero per l'Erario, e, quindi, non erano previste risorse strumentali per la sua applicazione. Né ciò fu fatto con le leggi istitutive dei Giudici di Pace e delle Sezioni stralcio dei tribunali, che hanno affidato la giurisdizione al volontariato dei giudici onorari.
Il problema era, è e doveva essere che funzione del giudice è di emettere sentenze che ristabiliscano gli equilibri tra consociati e non già quella di emettere sentenze comunque esse siano purchè definitorie di un processo.
Meraviglia molto che gli stessi assertori del "giusto processo" in campo penale non si avvedano che davanti agli organi che ho testè citato è tutto da dimostrare che il processo sia ugualmente giusto o, almeno, compatibile con la giustizia.
Noi appartenenti all'Ordine Giudiziario non vogliamo entrare nel merito delle opzioni culturali o politiche che hanno determinato tale stasi legislativa ma di converso hanno ispirato le leggi sulle rogatorie internazionali, o sul falso in bilancio o sul legittimo sospetto o su quella, ripetute volte ventilata come minaccia, della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, pur in controtendenza rispetto agli orientamenti del legislatore europeo che, in sede di istituzione di Eurojust, prevede l'assoluta indipendenza del PM e la obbligatorietà dell'azione penale.
Compito dei giudici è di rispettare la legge e la rispetteremo. E' difficile, però, impedirci di dire come cittadini che ben diversi erano gli effettivi mali della giustizia che avrebbero richiesto maggiore attenzione.
Non ci interessa verificare se sia attuale e trovi per ipotesi riscontro nella realtà italiana la fulminante battuta del Duca di Vienna nello Shakesperiano "Misura per misura", recentemente rappresentato a Genova,: "Non si affida il processo all'imputato"!
Non possiamo rimanere insensibili, però, davanti alla insistita abitudine di far apparire tramite i mass media una congiura ogni indagine giudiziaria e un colpo di stato ogni sentenza, magari senza averla letta, creando un dato culturale indotto per il quale ciascuno ritiene di essere autorizzato a sentirsi vittima di una persecuzione da parte dei giudici.
Non si dimentichi che sull'onda di tale abitudine e con l'avallo politico anche da parte di uomini con responsabilità di governo, a Napoli perfino un corpo di polizia si è messo in sciopero contro le decisioni dei giudici, rischiando di creare pericolose fratture tra corpi dello Stato.
E' nostro compito, applicare la legge e lo assolveremo.
Saremmo non appagati -ma almeno più sereni-, però, se la gente venisse informata che non sono i giudici a fare o ad abrogare le leggi e se qualcuna non si sottrae al sospetto che sia ispirata ad interessi di parte e non generali, i giudici non ne hanno colpa.
Saremmo tranquilli se il popolo italiano, in nome del quale amministriamo giustizia, fosse consapevole che noi giudici non possiamo che chiedere gli strumenti legislativi ed operativi per corrispondere alle esigenze di giustizia, ma spetta ad altri concederceli.
Così stanno le cose!
Sant'Agostino diceva che la speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno per lo stato attuale delle cose e il coraggio di cambiarlo.
Mi auguro che con l'ottimismo della volontà noi questo coraggio riusciremo a trovarlo e, quindi, signor Presidente, Le chiedo di volere, in nome del Popolo Italiano, dichiarare aperto l'anno giudiziario 2003.











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