30.10.2006 – Gazzetta del Sud

Lamezia - Sott'accusa i clan, ma anche lo Stato

Oltre cinquemila contro la mafia con tanta rabbia e senza bandiere

La manifestazione di protesta s'è conclusa davanti alla palazzina incendiata dal racket


di Vinicio Leonetti


Più rabbia che protesta. Il grido antimafia di Lamezia si fa sentire forte e chiaro, e la politica questa volta non c'entra. Dopo un attentato in cui è andata in fumo un'intera palazzina davanti al commissariato di polizia, e un duplice omicidio compiuto alle 19 in una via del centro, la città sana si ribella: «Mafia mafia vaffanc...».

In più di cinquemila a gridare "basta", partendo da sotto il tribunale. Piazza della Repubblica inondata di gente e di strisconi. E questa volta stanno dietro i rappresentanti delle istituzioni, perchè i veri protagonisti della piazza sono i giovani e il popolo di Internet che ha organizzato tutto in quarantotto ore.

Verso le 10 il corteo comincia a muoversi sotto il sole e le telecamere. Raggiunge corso Nicotera, il salotto della città, sempre urlando a squarciagola contro la mafia, parolacce incluse. E incredula la gente che sta a guardare affacciata dai balconi e finestre. Ma che sfacciati questi ragazzi di oggi!

La risposta dei commercianti non si fa aspettare. Molti negozi abbassano le saracinesche. I venditori del mercatino del sabato si mettono in fila ad applaudire. Chi lavora sodo e onestamente non ce la fa più, stretto in una morsa tra le tasse dello Stato e le mazzetta della mafia. Poi tutti fermi, a gridare di più, perchè ci si trova davanti alla Socedil di Roberto Molinaro, il commerciante di sanitari che dopo aver denunciato i suoi estortori adesso si trova imputato di calunnia. Ma questa è la storia di racket dell'ultima ora, perchè alzi la mano chi sul corso Nicotera non paga quelli lì.

Si svolta e si attraversa la zona scolastica. Le aule sono vuote, i ragazzi tutti giù in strada ad infoltire il corteo che cresce sempre di più. E poi ancora avanti fino a via Perugini, passando davanti al commissariato di polizia nell'ampio viale che sbocca sul deposito di gomme ridotto ad uno scheletro dalla mano dei clan. Antonio Godino, il proprietario, è lì ad aspettare l'onda di solidarietà sincera. Riesce a ringraziare, ma ha il morale sottoterra, perchè si trova davanti alla sua casa e all'azienda distrutte in una notte.

Gli danno un megafono e ringrazia tutti i ragazzi di Lamezia seduti sull'asfalto, davanti a quello che può essere considerato il World Trade Center lametino. Facendo le dovute proporzioni con la tragedia di New York dell'11 settembre, quella palazzina nera con le travi messe a nudo dal fuoco rappresenta ormai il simbolo di una città che non può continuare così e vuole cambiare. Godino dice di essere tornato dal Canada per investire nella sua terra, e i ragazzi applaudono. Qualcuno di loro si fa prendere dalla commozione respirando la forte puzza di pneumatici bruciati che gira ancora intorno a via Perugini.

Anche il sindaco si prende la sua dose di applausi. Fino a un paio d'anni fa faceva il prof di filosofia e conosce tanti di quei giovani che adesso protestano. La cultura antimafia gliel'ha insegnata bene, ma adesso Gianni Speranza si trova dalla parte di chi deve agire per far cambiare la città.

Al sit-in intanto si uniscono signore con i bambini sul passeggino, pensionati col giornale sottobraccio, il mondo delle professioni, e buona parte di quella città tanto desiderosa di scaricarsi di dosso un'immagine da Beirut.

Rullo di tamburi e s'invoca il ministro che non c'è, il capo del dicastero all'Interno Giuliano Amato, che attraverso il suo vice Marco Minniti ha annunciato provvedimenti straordinari per la lotta ai clan lametini. «Basta convegni, basta decreti, vogliamo gesti concreti», si legge sullo striscione che guida il corteo, accanto all'altro "facciamoci sentire per non farci seppellire". E poi un'ondata di "scemi, scemi, scemi" contro le cosche.

Poi una squadra di volontari gira a distribuire un volantino della Caritas diocesana: si raccolgono fondi per la famiglia Godino, che in una notte ha perso l'impresa e l'abitazione. Ma anche oggetti cari, il regalo del matrimonio, il corredo per la figlia.

Mentre una ragazza col suo videofonino fa una foto al corteo sotto le "Torri gemelle" lametine, e dice all'amica: «La mando con un mms a Giovanna, quella di Verona, che non sa cos'è la mafia».






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