dal sito antimafiaduemila.com

SINDACO IN TERRA DI MAFIA
Conversazione con Rosario Crocetta
2 agosto 2006 .

di Renzo Pintus

Una calda mattina d’agosto: una giornata normale o forse no: oggi non è una giornata qualunque, mi accingo ad incontrare un uomo veramente fuori dall’ordinario e anche il posto, ahimè, non è normale dal momento che ci troviamo a Gela, una città di 80.000 abitanti e di altrettanti irrisolti problemi. Inizialmente l’idea dell’incontro con Rosario Crocetta era quella di un’intervista breve, con domande puntuali sul tema all’ordine del giorno in questa città; poi, prolungandosi la permanenza oltre quei 60-90 minuti necessari, per il motivo che un sindaco che fa sul serio il proprio mestiere ha sempre cento documenti da visionare e cento persone da incontrare, ho pensato che fosse più opportuno restituire, sebbene in parte, le impressioni di questa lunga giornata che pure mi sembrano significative, per far conoscere meglio il Sindaco  e l’uomo.
Alle pareti del primo piano del Palazzo di Città diversi sono i segnali dell’impegno antimafia: lavori degli studenti gelesi, il manifesto di un dibattito con il sindaco all’Università Roma tre, in un corridoio un imponente affresco, raffigurante i simboli dell’atavica oppressione della mafia sul popolo siciliano: la fame, le lotte, i morti e  al centro l’Agnello di Dio grondante  sangue che intride  questa terra dolorosa e addolorata.
Appena arrivato, uno stuolo di impiegati, funzionari e assessori lo incalza con un ritmo che assume  una cadenza frenetica, in contrasto con l’azzurro placido delle pareti che invita a una languida calma;  si rivolgono a lui con rispetto, ma a me sembra anche con un certo distacco, il perché mi verrà chiarito nel corso dell’intervista. Illuminano la stanza due larghe portefinestre una delle quali però completamente serrata (mah, con questa bella giornata poi!).

D.- Essere Sindaco in Sicilia non è facile, a Gela ancor meno. Cosa significa per te fare il Sindaco in una città fortemente segnata dalla criminalità mafiosa?
R.- L’alternativa è tra l’essere il Sindaco della mafia o il Sindaco delle Istituzioni e dei cittadini. Io non ho deciso di fare il notaio della città, di limitarmi a fare atti burocratici, costruire qualche strada, assicurare servizi, portare avanti il piano regolatore e disinteressarmi del resto perché appartiene ad altri organi. Io ritengo che il Sindaco sia anche rappresentante dello Stato nella realtà territoriale, se non assolve questo compito vuol dire che la società non è veramente democratica. Così si lascia a poteri non elettivi un’azione che invece deve essere fatta dal popolo attraverso i propri rappresentanti. Se sono a conoscenza di un reato ho l’obbligo, come pubblico ufficiale, della denuncia. Alcuni pensano che non è compito del Comune occuparsi di queste cose, perché se tu fai questo sei sbirro, tu devi fare il Sindaco e non il poliziotto. Per me separare le mie responsabilità dalle responsabilità in materia di ordine pubblico e di sicurezza, che contribuiscono al benessere generale dei cittadini, è veramente demenziale. Posso fare finta di non vedere ma così non rispetterei la mia coscienza, né il patto di fedeltà alla Repubblica, tradirei me stesso e lo Stato. Questo, che dovrebbe essere il modo tradizionale e normale di fare il Sindaco, richiede in Sicilia un’inversione culturale di 180 gradi. Occorre essere uomo delle Istituzioni e rappresentante della società, se questi due aspetti non si riconoscono allora lo Stato e la società viaggiano su binari che non si incontrano mai.
D.- Come ci si sente a essere sfiduciati dalla propria Giunta con l’accusa di protagonismo nella lotta alla mafia e scarsa operatività amministrativa? Qualcuno sta alimentando di nuovo la polemica sui professionisti dell’antimafia?
R.- I Sindaci vengono eletti dai cittadini però poi devono fare riferimento all’arco dei partiti che lo sostengono. Io, contrariamente a quello che mi si attribuisce, ho fatto una giunta politica ed è perciò evidente che questi assessori rispondano ai loro partiti. La giunta non ha posto una sfiducia, anche se dopo le elezioni regionali i DS, che avevano ottenuto il miglior risultato, hanno avviato una polemica chiedendo la mia sostituzione. In questa vicenda si è inserito il Polo che ha presentato una mozione di sfiducia che non so che esito avrà ma che, intanto, sul piano del sogno di questa città è devastante. Gela è una città cresciuta nell’abusivismo più tremendo, senza una qualità di servizi accettabili. E’ come se una città intera di 100.000 abitanti fosse deportata in Africa. Abbiamo avviato un progetto di riqualificazione urbana per rendere vivibile questa città attraverso un piano triennale di opere pubbliche che per il conferimento degli appalti avrebbe scatenato una guerra di mafia se non avessimo adottato forti misure di prevenzione, grazie alle quali proprio stamattina ho potuto revocare la concessione dell’appalto per l’illuminazione del quartiere Settefarine ad un’impresa mafiosa che se l’era aggiudicato. Ho fatto un protocollo di nuova generazione con la Prefettura con il quale sono inserite delle clausole nei bandi che vorrei perfezionare se non ci cacciano prima.
D.- L’istituzione delle stazioni uniche appaltanti non ha risolto il problema?
R.- Dare una dimensione provinciale alle gare non cambia nulla, anzi i giudici di gara possono essere condizionati più di prima. Il problema non è solo siciliano e si potrebbe risolvere dando vita all’Albo nazionale delle ditte che possono concorrere ai bandi. Queste imprese dovrebbero accettare di sottoporsi a controlli preventivi ogni 2 anni, fornire tutte le informazioni di controllo sul loro operato, specificare in fase di gara le ditte sub-appaltanti per evitare che l’impresa pulita subisca il ricatto mafioso. Così si eviterebbero le lungaggini della certificazione antimafia, perché la lotta alla mafia non deve paralizzare o rallentare la produttività.
D.- In che modo operando da Sindaco si contrasta la criminalità mafiosa e lo spirito di illegalità così diffuso anche tra le diverse componenti della società civile?
R.- L’Amministrazione  ha fatto una scelta di campo. Molte operazioni in questa città sono accadute perché si è stabilita una collaborazione positiva tra società civile, Istituzioni rappresentative e Istituzioni delegate, Magistratura e Forze dell’ordine, se uno di questi pezzi non funziona la società non funziona. All’interno di questa collaborazione è rinata la speranza dei commercianti di potersi ribellare. A 13 anni dalla morte di Gaetano Giordano, un imprenditore che aveva denunciato il pizzo, abbiamo costituito un’associazione antiracket,all’inizio con 15 imprenditori cui si sono aggiunti altri 50, mentre altri 70 hanno chiesto di essere ammessi. Questi denunciano direttamente o tramite l’associazione, a volte tramite me che partecipo all’associazione non come Sindaco ma come cittadino Rosario Crocetta. Anche 300 produttori agricoli si sono ribellati al pizzo che si paga per mq. E le loro imprese che stavano fallendo sono ritornate a respirare. La mia prassi quotidiana è fatta di azioni amministrative concrete. Ho licenziato la moglie di un boss che beneficiava ingiustamente del reddito minimo d’inserimento, ho cominciato a far ruotare i dipendenti che hanno gestito gli appalti in un certo modo, conferito gli incarichi professionali con bandi di gara in una regione in cui in certi casi l’importo viene diviso tra il raccomandante e il raccomandato. Ho fatto anche una battaglia per la sostituzione e la revoca dell’appalto del modulo v° bis del dissalatore all’ing. Di Vincenzo, Presidente dell’Assindustria di Caltanissetta, gestore di grandi appalti in Sicilia e in tutta Italia Ho pressoché abolito il ricorso alle spese urgenti, prassi diffusa in tutti i Comuni che vogliono evitare il ricorso a regolari gare. Purtroppo oltre lo Stretto la questione mafia non viene compresa, nessuno si rende conto di quanto possa essere asfittico, totale il suo controllo. Le leggi sono fatte per l’Italia, ma la Sicilia non fa parte dell’Italia.
Il telefono squilla in media ogni trenta secondi e ogni tanto Crocetta risponde: apprende così del conferimento del premio di Legambiente per il suo impegno in difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini. In tarda mattinata l’intervista cede il passo alla conferenza stampa convocata d’urgenza per dare notizia della revoca di un appalto, in seguito alla certificazione antimafia pervenuta dalla prefettura di Agrigento qualche ora prima, all’impresa aggiudicataria appartenente a un imprenditore mafioso già condannato. Crocetta si sottopone anche a due brevi interviste per la televisione locale, rallegrandosi per la lodevole celerità con cui la Prefettura ha risposto alla richiesta di documentazione del Comune, ma soprattutto perché si è scongiurato l’impinguamento delle casse di un’impresa fortemente collusa con la mafia.
D.- La distinzione di cui parlavamo prima tra Sindaco notaio o Sindaco della legalità si esprime solo all’interno del Consiglio Comunale o anche all’interno della Giunta? Qual è la posizione dei tuoi sostenitori?
R.- Nel mio schieramento possono esserci opinioni diverse sulle modalità di lotta alla mafia, ma non mi piace mettere in evidenza i contrasti all’interno di una scelta di campo, la lotta alla mafia non è una cosa che si fa con entusiasmo in Sicilia, anche perché è pericolosa, non è una passeggiatina. Metti a repentaglio te stesso e molti non vogliono essere coinvolti in questa battaglia. Oggi il Polo, che ha la maggioranza in Consiglio Comunale, rimette in discussione il progetto di cambiamento di questa città. Ritengo che all’interno di quelle posizioni ci siano molti gruppi di interesse mafioso che stanno lavorando per eliminarmi in tutti i modi, politicamente e anche fisicamente. E’ una partita senza precedenti, i gruppi mafiosi hanno puntato alla mia delegittimazione, arrivando a sostenere che non facevo sul serio, che facevo antimafia parolaia. Tutto mi si può dire fuorché essere un professionista dell’antimafia. Io sono un militante dell’antimafia, sono come un partigiano, io sono nella convinzione che lo Stato democratico in Sicilia ancora non sia venuto  sino in fondo perché la mafia è in contrapposizione netta con lo stato di diritto e anche contro lo stato sociale e che quindi la Costituzione Repubblicana sia rimasta sostanzialmente inevasa e non attuata in Sicilia proprio per il peso della mafia che nega diritti sociali e diritti civili, interviene sul voto, condiziona gli appalti, controlla l’economia, uccide, controlla le persone, fa il lavoro nero, insomma la mafia compie un’abusiva occupazione del potere che si esprime nel mancato esercizio dei diritti democratici. Allora io ritengo che deve continuare  una Resistenza che non ha avuto in Sicilia una naturale conseguenza. Mi considero un partigiano, un militante della lotta alla mafia, mettendo in campo tutto me stesso. Quando mi chiedono se ho paura mi faccio una risata, è come se uno avesse chiesto a un partigiano se avesse paura dei fascisti. Poteva avere paura dei fascisti, ma non aveva paura di fare la lotta.

D.- E’ scandaloso quindi che lo Statuto dell’Autonomia Regionale non contenga un esplicito riferimento alla lotta alla mafia, mentre la Costituzione Repubblicana rivendica e pone alla propria  base l’antifascismo.
R.- Potrebbero anche metterlo ma la lotta alla mafia è un fatto sostanziale non formale. Abbiamo una classe dirigente abituata a coesistere con la mafia, un’altra alleata, un’altra parte è organicamente mafiosa, un’altra lotta la mafia. Quindi una parte dello Stato la combatte, un’altra l’avalla. Il problema storico della lotta alla mafia è il rapporto mafia-politica, se la mafia non avesse un rapporto organico con la politica sarebbe stata già sconfitta. Possono fare tutti gli Statuti che vogliono però la mia esperienza di militante antimafia è concreta e pratica, non teorica, fatta buttandomi col corpo nella mischia, specialmente dopo che la mafia mi è letteralmente caduta sulla testa per esperienza personale. Vivo l’antimafia che affina la teoria con la prassi e le revisiona entrambe, per questo la definizione di professionista dell’antimafia non mi appartiene per niente. Sono convinto che la politica agisca come una forte cappa su questa Sicilia che non riesce a liberarsi e a cambiare perché questa politica lavora contro.
D.- Ma è più mafiosa la mafia o la politica?
R.- Il fenomeno mafioso ha subito una metamorfosi. Se prima potevamo parlare di accordi di desistenza, poi di intrecci, di collaborazione, poi di accordo pieno tra mafia e politica, oggi dobbiamo parlare di una degenerazione per cui un mafioso è direttamente un politico. Questo non è più rappresentante della mafia ma è esso stesso mafioso, come alcuni imprenditori sono direttamente mafiosi. La mafia ha finito di essere il cancro della società, separabile da essa, per cui lo si prende e si estirpa e abbiamo risolto il problema del resto del corpo che è sano; siamo di fronte a un cancro in metastasi, che io chiamo la ‘New mafia’,con cui indico un sistema di potere organico” mafiosoimprenditorialepolitico” che controlla la Sicilia e comincia ad avere proiezioni sullo scenario nazionale e internazionale. Il problema serio è che la nuova mafia può non avere bisogno del controllo territoriale, se gestisce gli appalti per una multinazionale non ha bisogno di questo controllo perché gli accordi si chiudono nell’ufficio appalti della multinazionale, il controllo serve solo per piccoli appalti, per il pizzo, le estorsioni ma non per la mafia che conta, quella che fa i grandissimi affari, che è multinazionale e non separata dalla società. A Gela, a Palermo, in Sicilia si confonde con la società in un nesso con le istituzioni e la società civile la cui esaltazione acritica è solo vuota retorica. Penso che parte delle istituzioni di questo Stato in passato sono state a letto con la mafia, un patto scellerato che ha visto sposarsi mafia i istituzioni deviate. Non faccio retorica antimafia e tutte le persone che facciamo lotta antimafia a volte non sappiamo se il nostro migliore amico è un informatore al suo servizio.
D.- Si è sempre detto che la lotta alla mafia non appartiene a una sola parte politica, ma che deve diventare patrimonio di tutti. Purtroppo la realtà smentisce questo nobile principio. Inoltre la sinistra non appare del tutto immune dal contagio mafioso, come invece si riteneva in passato. Si pone anche a sinistra la necessità di individuare ed estirpare i germi silenti del contagio mafioso?
R.- Credo che la lotta alla mafia sia un terreno pre-politico di scontro. La politica , lo stato di diritto non dovrebbero separarsi sul terreno della legalità. Invece oggi, essendo la mafia legata ai gruppi di potere e ai potentati economici, accade che i poteri criminali e mafiosi si leghino ai gruppi politici che rappresentano gli interessi economici dominanti. Avviene che la destra abbia combattuto per l’abolizione del 41 bis, attaccato la Magistratura, portato avanti iniziative contro il sistema delle intercettazioni e dei collaboranti di giustizia, forti armi senza le quali è impossibile combattere la mafia. Se la mafia è sistema di potere e vicina ai gruppi di potere non possiamo pensare che la sinistra sia indenne, ma che in posizioni di gruppi di potere degenerati della sinistra si possano avere, così come ci sono, singoli personaggi che possono essere vicini all’organizzazione mafiosa.
D.- A risanare una situazione così degradata può bastare la riforma della politica, mi riferisco alle petizioni di principio relative al codice etico, alla de-professionalizzazione del ceto politico, alla partecipazione dei cittadini, o necessita una riforma a monte sul piano etico e culturale?
R.-  Credo che il perno della lotta alla mafia sia l’autoriforma della politica, senza questa la mafia non può essere combattuta perché è oggi la politica il collante del sistema mafioso. Senza politica la mafia sarebbe stata già distrutta, invece è la sola organizzazione criminale al mondo che da oltre 150 anni non è stata vinta. L’autoriforma della politica è urgente, inoltre rivendico alla politica la capacità di essere molto più severa della Magistratura, deve essere capace, al di là della stessa Magistratura, di intercettare le infiltrazioni mafiose al proprio interno. Questo presuppone un approccio etico differente che non può non legarsi al sistema dei valori, mentre negli ultimi anni la politica si è completamente distaccata dai valori divenendo esercizio cinico e arbitrario del potere. Questa è la vera questione. Scomparse le grandi idee, i movimenti di massa, la politica inclina verso logiche manageriali-gestionali e dimentica le prospettive di cambiamento profondo della società e finisce per non essere più punto di riferimento della società. La politica deve recuperare il rapporto con l’etica.
Dopo una breve interruzione per un tardivo pranzo, al rientro, il Sindaco viene accolto da un coro festante di bambini di un gruppo  parrocchiale che lo salutano, invitandolo a un loro spettacolino serale in piazza. Crocetta non trascura di dare qualche  buffetto sulla guancia e parole di ringraziamento. E’ molto amato il sindaco dai bambini della sua città, negli adulti invece suscita reazioni divergenti. Girando per le strade si vedono manifesti che, richiamando la recente questione della mozione di sfiducia, esprimono piena solidarietà e appoggio al Sindaco (comitato spontaneo dei cittadini del quartiere Carmine e la locale sezione del PdCI); ma ve ne sono altri che prendono educatamente le distanze da Sindaco e Consiglio comunale, auspicando che tali episodi non abbiano più a ripetersi (comitato della frazione di Manfria e collettivo dei DS).
Dentro il Comune lo attende già  una troupe della televisione di Stato francese (TF1), arrivata da Parigi per intervistare Crocetta a Gela e il gruppo di studenti “Addio pizzo” a Palermo. Aspettando la ripresa dell’intervista, non posso fare a meno di notare i quadri appesi alle pareti. Alle spalle della poltrona del Sindaco domina un’enorme tela di un Cristo oppresso da una pesante croce  in un paesaggio riarso, seguito da un donna in nero; a sinistra, due tele che raffigurano la Vergine.
Ad altezza d’uomo in un angolino, catturano l’attenzione due piccoli quadretti che sembrano quasi fuori luogo in mezzo a queste grandi tele, eppure hanno un significato profondo che intuisco, ma che non comprendo a pieno e del cui senso lo stesso Crocetta mi rende spontaneamente consapevole. Si tratta di una foto di Madre Teresa di Calcutta e dell’immagine di S. Michele Arcangelo, donatigli rispettivamente da una collaboratrice e da un poliziotto. Crocetta li tiene vicini perché guardandoli ricorda sempre a se stesso come sia importante non separare mai la battaglia per la legalità da quella per la difesa dei deboli e per la realizzazione della giustizia per tutti.
D.- Prima hai usato l’espressione ‘la mafia mi è caduta sulla testa’,  e che la tua posizione antimafia non è ideologica. C’è allora un retroterra biografico-personale, come la mafia ti ha toccato, come ti è ‘caduta sulla testa’?
R.-  Il giorno stesso della mia elezione uno dei miei avvocati mi ha informato che mi erano arrivate delle minacce solo perché avevo detto che avrei fatto una lotta senza precedenti contro la mafia. Quindi la mafia ha deciso immediatamente di porre una sfida al potere legale. Di fronte a questo avevo delle scelte, o fare il pupo manovrato dalla mafia o combatterla. Io ho deciso presto, l’ho fatto non sulla base di una scelta ideologica ma di valori, non per un progetto ideologico ma perché l’ho scoperta nell’esperienza concreta.
D.- La tua allora è una posizione soltanto valoriale e culturale, non c’entra con il tuo essere comunista.
R.- La scelta politica semmai fa riferimento a quei valori nel senso che è una scelta a favore dei deboli. Io penso che la mafia attenti ai diritti delle persone, al senso della giustizia, non credo che la lotta alla mafia sia separabile dal mio essere cristiano, dal mio essere comunista. Non a caso nel protocollo di legalità ho inserito la clausola che alle imprese che non rispettavano i diritti dei lavoratori si poteva revocare l’appalto. Non c’è separazione tra il mio modo di essere e il mio modo di pensare. La legalità non è separabile dalla carità, dall’amore, dalla giustizia, non è una forma astratta ma un fatto concreto di protezione dei poveri e dei deboli. Il mio essere comunista diventa, come dire, un cristianesimo comunista.
D.- Per un politico quali sono le migliori virtù e i peggiori difetti?
R.- La virtù migliore è quella di mettere al di sopra di ogni cosa il bene pubblico, credo che sia l’unica sola grande virtù, tutto il resto è acqua calda. Il peggiore difetto è il contrario, anteporre i propri interessi personali agli interessi generali. Questo può produrre una moralità pubblica nuova in un paese degradato dalla corruzione come l’Italia che, se non fa questo tipo di percorso, credo che sia destinato a morire.
D.- Per i giovani ci sono più ragioni per andare o per restare in Sicilia?
R.- Ci sono Tante ragioni per rimanere che per andarsene. Le ragioni del rimanere sono legate alla profondità di una esperienza storica che viene da lontano. Abbiamo radici culturali profonde nel nostro essere greci, arabi, normanni, mediterranei, inoltre la natura, la bellezza del clima e dei luoghi. Ma se fai riferimento a fatti più razionali, più oggettivi, allora hai voglia di scappare. Io capisco questi ragazzi che hanno deciso di andarsene perché per molti è devastante dover ricorrere a qualcuno per trovare un lavoro. E’ difficile dopo avere studiato, avere sviluppato una coscienza europea, dover convivere con questa arretratezza medioevale che è la mafia, qualcosa del passato che ancora persevera nel mondo moderno. Io stesso sono andato e tornato più volte, ho lavorato anche all’estero, poi però c’è stato un episodio che mi ha fatto propendere nel rimanere. E’ stato nel ‘90 quando avvenne la strage degli 8 ragazzini nella sala giochi, uccisi da altri ragazzini, vittime della guerra tra la ‘stidda’ e ‘cosa nostra’. Allora ho pensato che dovevo utilizzare quella esperienza che veniva dalla conoscenza di altre culture, di altre città, di altre esperienze di lavoro e metterle al servizio di questa città. Aderii allora a RC, poi andai dai comunisti italiani ma per prima cosa creammo una scuola per minori a rischio, un giornale per denunziare la mafia (si chiamava Progetto Gela) e cercare di delineare un nuovo progetto per la città. Da allora non me ne sono più andato perché ho pensato che era giusto spendersi per questa città e aiutarla a fare qualche cosa.
Intanto Crocetta suggerisce alla giornalista francese in attesa di guardare dalla portafinestra i luoghi significativi di Gela: lei guarda mentre lui li descrive a memoria, poiché a lui è interdetto affacciarsi a finestre e balconi. Ecco il motivo della serranda chiusa: a quest’uomo per lavorare è proibito assaporare la luce del sole, avere la vista della propria città, che è poi il motivo stesso di questo suo impegno aspro, dal quale molti dei suoi collaboratori si tengono a distanza di sicurezza. Come lui stesso ci ha detto “molti chiedono di non essere coinvolti in questa battaglia”, ma allora per chi si fa questa battaglia? Non è anche perché ogni cittadino, ogni giorno possa avere sempre più coraggio per fare meglio il proprio dovere?
D.- E’ un’esistenza che ti si confà?
R.- La mia vita è cambiata radicalmente da quando sono Sindaco, da quando ho deciso di fare questa lotta dura alla mafia, però rifarei esattamente quello che ho fatto, forse anche peggio, se io mi rivedessi proiettato nel passato sarei stato ancora più duro, con la consapevolezza di oggi. Vale la pena di restare perché la vita senza l’affermazione del principio di libertà è poca cosa.
Questi valori saranno presto il soggetto di un film-documento girato da una casa di produzione di Roma e diretto da Renzo Rossellini. Qualche maligno potrebbe pensare che sia Crocetta a sollecitare l’interesse dei mass-media, ma forse la verità è un’altra: “oltre lo stretto”  hanno capito che ciò che sta portando avanti Rosario Crocetta è un’impresa che merita attenzione, encomio e sostegno; mentre  in Sicilia, in tanti, forse troppi, l’abitudine al quieto vivere, che talvolta diventa ‘convivere’, ad una vista volutamente corta e miope, degenera purtroppo nella biasimevole attitudine a svilire, guastare e denigrare le motivazioni di un impegno forte che tutti dovremmo assumere. I professionisti della politica e dell’amministrazione avrebbero invece molte cose da imparare, come ho avuto io occasione di apprendere, stando accanto a quest’uomo per quasi un’intera giornata. Grazie Rosario!






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