LA REPUBBLICA - GENOVA – 08.07.2006

 

Minorenni segregate nel Centro Storico e Sampierdarena
per la farle prostituire, tredici arresti

Aborti, rito voodo e violenze

Le nigeriane ridotte in schiavitù

di Stefano Origine

 

Si cercano i farmacisti e i ginecologi che collaboravano con la gang in cambio di forti somme di denaro e prestazioni sessuali

 

Donne ridotte in schiavitù, segregate in stanzette senza cibo e acqua, costrette ad abortire negli scantinati del Centro Storico e a Sampierdarena, riti voodo, un giro clandestino di farmaci e ricette false per interrompere le gravidanze. Anche per la Polizia è stato difficile portare alla luce questa storia dell’altro mondo, cancellare la paura di molte ragazze nigeriane e spingerle a denunciare gli sfruttatori. L’operazione “Athens” della Sezione criminalità extracomunitaria e prostituzione, una costola dalla Squadra Mobile, con tredici arresti ha permesso di sgominare un organizzazione che “importava” a Genova, ma anche in Piemonte, Lazio, Emilia e Sardegna e addirittura in Francia, Spagna e Danimarca, merce umana. Ragazze, soprattutto minorenni, rapite nei villaggi della Nigeria e vendute per pochi dollari a uomini senza scrupoli, che le obbligavano a prostituirsi. Ma sta portando scoperchiando una tresca tra sfruttatori, farmacisti, ginecologi e proprietari di “bassi” nel Centro Storico. La Polizia ha raccolto le prove che gli sfruttatori costringevano ad abortire le ragazze con un farmaco, il “Cytotec”, (un gastro-protettore in grado di procurare, se assunto in forte dosi, violente contrazioni uterine) che riuscivano ad avere senza ricetta grazie ad alcuni farmacisti e medici compiacenti che in cambio ricevevano forti somme di denaro o prestazioni sessuali. Ora la Polizia sta verificando quante scatole di questi farmaci sono state vendute con dei controlli incrociati sui registri e i registratori di cassa.
Gli aborti fino al quarto mese di gravidanza venivano praticati in stanzette di pochi metri quadrati in via Fillak a Sampierdarena, in vico Untoria e vico Angeli. Quattro mini appartamenti, affittati senza contratto per 800-1000 euro al mese, dove venivano anche ricevuti i clienti. I proprietari sono stati tutti denunciati e gli immobili posti sotto sequestro. Per interrompere le gravidanze, oltre al quarto mese, le ragazze invece venivano portate in ambulatori clandestini in campania. “Ci sono stati casi – raccontano gli Agenti – in cui le ragazze hanno rischiato la vita per emorragie devastanti. Forse per pietà, ma pensiamo, per non perdere un “bene”, gli sfruttatori le abbandonavano davanti agli ospedali. Un ginecologo ci ha raccontato che una ragazza ha avuto lesioni così gravi all’utero, che non potrà più avere figli”. Per provocare le contrazioni che portano all’aborto, occorre una minima quantità di questo farmaco. Quando le contrazioni non arrivavano, allora gli sfruttatori obbligavano le ragazze a bere dell’acido. “Una ragazza, Giulia, ci ha raccontato che si è sentita male e ha vomitato. Quando quell’intruglio è finito sul tappeto, l’ha bruciato…”, racconta il vice-Questore Maria Teresa Canessa. E se i farmaci e pozioni non bastavano, allora si ricorreva ad altri metodi brutali. “L’uso degli spilloni era normale come i calci e le bastonate in pancia”. I riti voodo servivano per assoggettare psicologicamente le ragazze ribelli che non volevano pagare il debito con l’organizzazione che l’aveva portate in Italia (anche 60.000 euro). “Bastavano una bambola con le mani spezzate, qualche intruglio di capelli, unghie e pomate, un po di polvere e una preghiera per trasformarle in agnelline”.


IL SECOLO XIX – 08.07.2006

L’INDAGINE – poche migliaia di euro per una giovane donna poi resa schiava con i riti voodo. Tutti i particolari dell’inchiesta che ha portato a 11 arresti.

Stroncata la tratta delle nigeriane

Le “compravano” in Africa e le costringevano a prostituirsi a Sampierdarena e Rivarolo

di Graziano Cetara


Joy ha dovuto imparare a leggere e scrivere solo per conoscere e non sbagliare mai il nome falso con cui veniva importata a Genova. Al mercato della carne umana, nei villaggi di Lagos, in Nigeria, il suo corpo è valso novemila euro ai trafficanti dei nuovi schiavi. Il debito che avrebbe dovuto pagare prostituendosi per tornare a casa, era una cifra incomprensibile ai suoi occhi: 80.000 euro. Joy non ha dovuto imparare a fare di conto nella valuta di un continente mai sentito prima. Lei appena diciottenne è una delle ragazze liberate dalla Polizia nell’ambito dell’inchiesta sulla prostituzione nordafricana a Genova, condotta dal sostituto procuratore Giovanni Arena, che ha portato nei giorni scorsi all’arresto di undici persone, difese dagli avvocati Riccardo Caramello, Andrea Guido e Danilo Icardi.

In manette è finito l’uomo che è considerato il vertice della tratta delle nigeriane a Genova: Victor Osawaru, 29 anni, residente in via Fillak a Sampierdarena. E con lui altri dieci connazionali, tra cui nove donne accusate di essere madame, le proprietarie ultime delle schiave, ex prostitute, con potere di vita o di morte su ognuna di loro, incaricate di fornire vitto e alloggio, di esigere pagamenti regolari e gestire, controllare ogni ora della loro vita.
L’angolo di marciapiede affidato a ogni ragazza si chiama joint. E’ uno dei retroscena che emergono dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Maria Teresa Rubina. Uno spaccato della prostituzione di colore a Genova, che ogni notte accende di falò Lungomare Canepa, Via Sampierdarena, Corso Perrone e di giorno riempie appartamenti dormitorio, nei quartieri di Pegli, Rivarolo, Quezzi. La nuova macchina che ho comprato deve iniziate a lavorare mi dai il permesso?, in una delle intercettazioni è una madame ha chiedere l’autorizzazione a Victor per mettere sulla strada l’ultimo arrivo. In codice le donne sono macchine, quando sono già a Genova, lettere quando sono in partenza dalla Nigeria.

L’importazione è seguita da una rete di intermediari definiti sponsor con terminali in Africa, a Roma, in Sardegna, in Danimarca. I più esposti hanno cittadinanza europea e possono spostarsi liberamente. Le lucciole sono prese nei loro villaggi: E’ una piccolina, veramente piccola. Se la vedi ti fa pena, è giovanissima, sicuramente sono andati a prenderla in campagna…Si legge in un’altra intercettazione: “la mia famiglia era la fame – racconta una delle donne liberate dalla polizia – mio padre e l’unico fratello sono inabili al lavoro e ho quattro sorelline piccolissime. Abitavamo tutti in un villaggio di contadini. Sono venuti a prendermi, mi offrivano un lavoro e dei soldi”. Inizia così la schiavitù.
Ogni ragazza riceveva un documento falso, un biglietto aereo di sola andata e un nuovo nome, Glory, Charity, Joy. Gloria, carità, gioia, con cui presentarsi ai clienti sulla strada. Un passaporto nella tratta delle schiave nigeriane viene usato tre volte: viene requisito all’arrivo in Italia e rispedito in Africa per un riutilizzo. Non più di tre volte, perché si rovina, spiega uno degli indagati in una conversazione registrata dagli investigatori. Gli itinerari erano sempre gli stessi: Lagos, Belgio, Austria e alla fine Italia. Ma le vie della tratta possono essere infinite.

In un caso una nigeriana ha presentato una falsa istanza di riconoscimento dello status di rifugiato politico: nel corso di disordini religiosi il padre e il fratello erano stati uccisi. Tutto inventato, come dimostrato dalle intercettazioni. Era un sistema fra i tanti per ottenere un visto e poter lavorare in pace in Italia.
Una volta nelle mani della propria madame la fuga è impossibile. Ti faccio uccidere dal Dio del ferro, il Dio Ogun, e faccio sterminare tutta la tua famiglia, è una delle minacce registrate dagli investigatori. La giovane non vuole lavorare, è stanca. La sua sfruttatrice la obbliga, le agita i fantasmi di una delle divinità animistiche in cui crede: Lo so di non essere padrona di me stessa, ma oggi non vado a lavorare!, urla al telefono la vittima delle minacce. Tagliati le unghie e i capelli, se non lo fai da sola lo farò io, lasciandoti i segni, le cicatrici, le intima la madame. L’ordine viene eseguito. Non serve alcun rito. Basta crederci. Ed è questo che conta e che fino a ieri alimentava la schiavitù. E che ancora alimenta il mercato del sesso africano a Genova. La Polizia ha arrestato Victor e altri dieci trafficanti di donne. Ne ha liberate una decina. Ma un’altra Joe, pagata a peso al mercato della carne di Lagos, in Nigeria, è già in arrivo.




il RETROSCENA

Violentate in auto da uno degli sfruttatori

obbligate a pagare 1.500 euro a settimana    

Mary rende bene. E’ un business e le donne sono beni di investimento. Devono pagare, lavorare e dormire. Mangiare poco perché costa, e pagare, pagare. In una delle intercettazioni della polizia la madame, una delle nigeriane arrestate, si complimenta per il fatturato della giovane appena arrivata dall’Africa, nonostante i controlli delle Forze dell’Ordine le rendano la vita impossibile.

Le nigeriane hanno un debito e devono pagare 1.500 euro a settimana. Il debito è di 80.000 euro, a cui si deve aggiungere cinquemila euro di regalo alla sfruttatrice. Si chiama così quel quid in più imposto sulla cifra del riscatto, che va pagato per riottenere la libertà. Nelle carte dell’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Giovanni Arena non si ha notizia di donne che sono riuscite a ritornare proprietarie di se stesse. Le uniche sono quelle salvate dalla Polizia nel corso delle indagini e che, con le loro dichiarazioni, hanno permesso agli inquirenti di sgominare l’organizzazione.

L’intermediario guadagna fino a 700 euro a donna, al netto delle spese per l’importazione: un passaporto falso, il biglietto aereo di sola andata e dei vestiti. Molte delle ragazze strappate al villaggio africano partono senza possedere nulla. Senza conoscere una sola parola d’italiano e senza conoscere il valore di tutti quei soldi che dovranno restituire. Ottantamila euro non sono nulla per loro. Eppure per ripagarli dovranno prostituirsi ogni notte per mesi, forse anni.

Arrivate a Genova giurano nelle mani della madame, da cui dipenderanno e alla quale dovranno pagare ogni settimana 1.500 euro, 250 euro al mese di affitto e 50 euro ogni sette giorni per il vitto.

Una delle promesse solenni alle quali si sottomettono le donne riguarda gli uomini nigeriani: “Niente sesso con loro. Potrebbero portarci via e sfruttarci a loro volta. In tal modo le madame subirebbero un grave danno economico”. Tra le minacce raccontate nell’ordinanza di custodia cautelare c’è quella dell’arroganza, dell’aggressività di Victor: secondo le accuse raccolte dalla Polizia l’uomo avrebbe tentato di violentare alcune delle lucciole che importava e destinava alla strada.
G. Cet.


CORRIERE MERCANTILE – 08.07.2006

Lucciole schiave con i riti juju

Per riscattarsi pagavano sino a 100 mila euro. L’orrore degli aborti indotti

Le schiave nigeriane a Genova lavoravano sui marciapiedi di Sampierdarena e nei bassi dei vicoli della Maddalena
di Michele Varì

Con le minacce dei riti juju dei culti animasti rendevano schiave centinaia di connazionali costrette a subire ogni vessazione ed umiliazione e a prostituirsi per anni sui marciapiedi di mezza Europa (molte delle quali a Sampierdarena e nei vicoli di Genova) prima di riuscire a pagare il debito di quasi centomila euro necessario per riscattarsi e liberarsi.

Una ramificata associazione di sfruttatori nigeriana è stata smantellata dai poliziotti della Squadra Mobile genovese al termine di un inchiesta cominciata un anno e mezzo fa sui marciapiedi di via Sampierdarena e nei bassi della Maddalena, nel Centro Storico. L’operazione è stata denominata “Athens” perché la ragazza che per prima ha chiesto aiuto alla Polizia, e da cui è cominciata l’indagine, era talmente sprovveduta da credere di essere nel centro di Atene, in Grecia, mentre in realtà si trovava in un marciapiede di via Sampierdarena.

La gang era organizzata al punto di garantire alle ragazze che rimanevano incinte un posto in una clinica compiacente in cui andare ad abortire nella massima discrezione. Altre volte gli aborti venivano procurati nei primi mesi di gestazione obbligando le sventurate ad ingerire micidiali intrugli composti da medicinali e sostanze acide, che provocavano la morte del feto e gravi malori alle ragazze.

In manette sono finiti quattordici immigrati, tra cui molte donne, ex prostitute che nonostante fossero state in passato vittime del racket, hanno pensato bene di riciclarsi come mamam, utilizzando la loro esperienza per schiavizzare giovanissime connazionali. Nei guai anche quattro genovesi che affittavano alle ragazze i bassi usati come alcove di vico Angeli e dintorni, nel Centro Storico della Maddalena. I monolocali sono stati posti sotto sequestro.

Tutto ruotava intorno ad un ventinovenne abitante in via Fillak, a Sampierdarena, Victor Osawaru, ufficialmente meccanico e rappresentante di abbigliamento, che aveva anche il compito di riportare alla ragione chi alzava la testa, con le buone o le cattive.

Le indagini degli uomini della Sezione Criminalità Extracomunitaria della Squadra Mobile di Genova, diretta dal vice-questore primo dirigente Claudio Sanfilippo, è stata coordinata dal sostituto procuratore Giovanni Arena. Il lungo blitz conclusivo degli agenti è scattato nella notte fra martedì e mercoledì scorso: gli investigatori della sezione specializzata nei reati degli immigrati, coordinati dal neo vice-questore aggiunto Teresa Canessa hanno effettuato arresti a Genova, ma anche in Piemonte, Lazio e Sardegna, dove gli investigatori, nell’abitazione di una mamam, hanno trovato le foto degli agghiaccianti riti juju, versione africana ed originaria del più noto vudù sudamericano. Peli del pube, capelli, unghie, galli sgozzati, strani intrugli, rosari, saponette, le classiche bambole: per impressionare le ragazze di turno bastava poco, anche perché le vittime venivano scelte fra le sprovvedute famiglie dei villaggi delle campagne del sud della Nigeria. Ragazze che dopo il giuramento solenne di sottomissione erano talmente terrorizzate che avevano paura di parlare di juju anche quando si sono trovate negli uffici della Questura di Genova. Con il meccanico tutto fare Victor, che si professava rifugiato politico, un altro pezzo da novanta della gang era Martins Ikponmwosa Okungbowa, quarantasei anni, raggiunto dal provvedimento di custodia cautelare in una cella del Carcere di Torino dove è finito circa un anno fa per un’analoga indagine sulla prostituzione nel capoluogo piemontese. Intestatario di numerose carte di credito, l’uomo era anche uno degli accompagnatori che avevano il compito di scortare le ragazze dal loro villaggio al Paese di destinazione. Una volta in Europa le ragazze scoprivano che il lavoro promesso non era la commessa o la cameriera, come veniva ventilato da chi le reclutava, ma quello di prostituta. I primi rudimentali insegnamenti su come accontentare i clienti venivano impartiti senza molto tatto dalle navigate mamam, che poi se ne prendevano cura e le coordinavano per il resto dei loro giorni in Europa. Tutor che quando parlavano al telefono delle ragazze le etichettavano come “auto”, “lettera” e “scarpe”. Le mamam garantivano alle prostitute vitto e alloggio, anche se ogni spesa era pagata dalla stessa ragazza. Le giovani per riscattarsi alla fine pagavano cifre intorno agli 80 mila euro, con tanto di regalo sui cinquemila euro come buona uscita. Gli indagati sono accusati di tratta di esseri umani finalizzata alla sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù.

 

NEI GUAI ANCHE LA MADRE
Il boss della tratta è un aspirante rifugiato

Il numero uno della banda di nigeriani era Victor Osawaru, abitante in via Fillak, a Sampierdarena, ufficialmente meccanico e rappresentante di abbigliamento, in realtà uno spregiudicato affarista disposto a tutto pur di fare soldi. Non a caso nel giro c’era anche l’anziana madre, mai uscita dalla Nigeria, una vecchietta che reclutava le ragazze nei villaggi più sperduti promettendo lavoro onesto in Europa, anche se non mancavano i casi di ragazze perfettamente consapevoli di cosa l’aspettava. La mamma di Victor comunque la passerà liscia perché imputarle dei reati è pressoché impossibile per via della precaria collaborazione ottenuta dalla Polizia italiana dai colleghi nigeriani, la cui efficacia è storicamente minata dalla corruzione. Fra gli arrestati anche la compagna di Victor, la mamam ventitreenne Joi Osa’s, detta Naomi per la (lontana) somiglianza con la statuaria modella nera Naomi Campell.






Fondazione Caponnetto
Libera contro le mafie
Libera Terra
Narcomafie
Gruppo Abele
Addiopizzo
Riferimenti
Rete del Bottone
Fondazione Falcone
ANM
Emmedi
Movimento x la Giustizia
Cuntrastamu
Antimafiaduemila
Associazione Antiracket
Peppino Impastato
Democrazia e Legalità
Centro Impastato
Centomovimenti
 MicroMega
Giustizia e Libertà
Sconfiggiamo la mafia
No Tav
Coord. No Tav Genova
SocialPress
Piero Ricca
Marco Travaglio
Beppe Grillo
Daniele Luttazzi
Sabina Guzzanti
Dario Fo
Franca Rame
Michele Santoro
MegaChip
Arcoiris
Report
AnnoZero
BluNotte
Uomini Liberi - Savona
GilBotulino - Calabria