LA STAMPA – 29.04.06

NEL REGNO DELLA ‘NDRANGHETA LO SPACCATO DELLA RELAZIONE PREFETTIZIA CHE DOPO L’OMICIDIO FORTUGNO HA PORTATO A SCIOGLIERE L’AZIENDA SANITARIA
L’Asl d’Aspromonte
che paga lo stipendio a mafiosi e latitanti
A Locri un incredibile giro di appalti e sprechi con il condizionamento delle cosche calabresi


ROMA

A vederla quella Asl, con i suoi corridoi puliti, le macchinette per le bibite e i biscotti ad ogni piano sembra di vivere in un mondo lontano, in una città del Centro-Nord. E invece è Locri, Aspromonte, Calabria, regno della ‘ndrangheta, città del vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno, un tempo primario dell’ospedale di Locri (la moglie Maria Grazia Laganà è vice direttore sanitario, e da ieri parlamentare eletta della Margherita), ucciso nel seggio delle primarie dell’Ulivo, il 16 ottobre scorso. Commissariata, e da giovedì sciolta per mafia dal Consiglio dei ministri, l’Asl 9 è stata al centro di una inchiesta amministrativa. Le conclusioni, trasmesse anche alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, offrono uno spaccato drammatico: «Il quadro indiziario dal quale si è desunta l’esistenza di una pressione dall’esterno della ‘ndrangheta - si legge nelle conclusioni della relazione - trova la sua continuità nel condizionamento che sulle scelte gestionali e di indirizzo la stessa organizzazione ha potuto esercitare dall’interno, attraverso la presenza di personaggi quantomeno permeabili».
Il personale
Che cosa succede quando un dipendente della Asl viene arrestato per mafia? O che ha parenti mafiosi? La relazione prefettizia ha censito circa una settantina di «casi» che meritano un approfondimento. Va segnalato intanto il caso dello psicologo presso la Saub di Bovalino, Pasquale Morabito, di Bova Marina, inserito nel clan mafioso «Speranza, Palamara, Scriva». Condannato definitivamente nel 2000 a otto anni con interdizione perpetua dai pubblici uffici, per traffico di droga. «L’azienda sanitaria aveva sospeso Morabito dal servizio, a seguito della privazione della libertà personale, con conseguente riduzione dello stipendio. La sospensione è durata per tutto il periodo del primo quinquennio di detenzione, dopodiché l’azienda sanitaria anziché prendere atto dello stato di perdurante detenzione, e comunque ignorando che il Morabito non era in servizio, ripristinava l’erogazione dello stipendio per intero». Fino al 2002, «non avviando neppure l’azione di recupero». A proposito di Morabito, ecco la storia di Giuseppina Morabito, figlia del mammasantissima Giuseppe, detto «‘U tiradrittu», moglie di Giuseppe Pansera, arrestato insieme al suocero due anni fa, nel 2003. A Giuseppina «viene conferito un incarico di continuità assistenziale a tempo indeterminato per 24 ore settimanali nella postazione della Guardia medica di Africo». Quarantacinque giorni dopo la nomina, il direttore sanitario ha disposto il trasferimento della dottoressa Morabito nel reparto di psichiatria dell’ospedale. Il giorno successivo il direttore del servizio psichiatrico ha chiesto che da 24 diventino 38 le ore settimanali di servizio. Non c’è che dire: un trattamento di favore. E poi c’è il dottore (servizio veterinario) Francesco Nirta, «figlio di Antonio, capo indiscusso della omonima cosca operante nel territorio di Bovalino».
Gli accreditamenti
L’Asl di Locri nel 2004 ha stipulato «contratti per l’acquisizione di prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale», i cosiddetti «accreditamenti», con 27 diverse strutture private (e al 28 febbraio scorso i contratti risultavano ancora in corso): «La gestione degli accreditamenti riveste profili di criticità non solo per i legami accertati con la criminalità, ma anche per il sistematico sforamento dei tetti di spesa e quindi per la reiterata violazione delle regole poste a base del rispetto dei budget assegnati». Prima illegalità: non è mai stata richiesta alcuna documentazione antimafia ai titolari delle strutture private, consentendo la stipula di contratti con soggetti in odore di mafia. Per esempio: l’amministratore unico della «Medi-odonto-center srl» di Gioiosa Ionica, il dottor Domenico Tavernese, è stato arrestato nel gennaio del ‘93 per mafia, estorsione e usura insieme ai rappresentanti della famiglia degli Aquino. Nel ‘96 Tavernese è stato condannato definitivamente per usura a un anno di reclusione (pena sospesa). Nonostante questa condanna, Tavernese ha continuato a «erogare le prestazioni retribuite con importi ben superiori a quelli consentiti». Il «Pio Center» di Bovalino è stato «interessato da due provvedimenti di sequestro dei beni in quanto considerato dagli inquirenti facenti parte del patrimonio di Nirta Antonio, nato a San Luca. Idem per il «Centro ricerche cardiovascolari per la cardiologia D. a Cooley S.a.s» di Bovalino, interessata dal sequestro dei beni perché nella disponibilità di Antonio e Giuseppe Romeo e di altri, «appartententi alla consorteria mafiosa Romeo/Pelle». Naturalmente ci sono alcune cifre che non tornano: «Il numero di interventi pagati ne periodo 2000/2005 è stato pari a 11.224.919 su un campione di popolazione di circa 135.000 abitanti; l’ammontare dei servizi erogati per abitante è stato dunque di 84,6; per ogni anno, ogni cittadino ha fatto ricorso alle strutture convenzionate in media 13,96 volte». Gli appalti
Singolare il paragrafo dedicato all’appalto per il Servizio accalappiamento cani, «impresa aggiudicataria: “Dog Center s.a.s”». Nel 2003 si indice una nuova gara triennale informale. Al bando risponde soltanto la «Dog Center». L’azienda sanitaria, però, per mettersi al riparo da sospetti chiede alle altre sette imprese che si occupano del servizio richiesto, anche se non hanno i titoli per partecipare al bando, di fare comunque domanda per la licitazione privata: nel caso in cui si fosse presentata una sola impresa, «si sarebbe proceduto comunque». L’unica offerta arrivata è stata quella della «Dog Center» che si è aggiudicata l’appalto triennale per 465.000 euro. Piccolo particolare: il suo titolare, Leonzio Tedesco, fu arrestato nell’1986 per mafia, insieme agli esponenti della famiglia Cataldo.






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