da La Repubblica del 24.10.2005

I magistrati convinti che qualcuno abbia voluto screditare il politico ucciso una settimana fa

Depistaggi sul caso Fortugno a Reggio è caccia alla talpa

Nell'indagine della procura di Milano, il boss Giuseppe Pansera venne ascoltato per due anni dalle microspie
La polizia gli piazzò cimici nel salotto di casa, nella sua auto, in ospedale, una perfino nella camera da letto
Mai una sola volta nelle conversazioni del medico venne citato il nome del collega
Per questo la procura sta valutando se indagare su manovre volte a confondere le acque

di Attilio Bolzoni



REGGIO CALABRIA - Cercano gli assassini di Francesco Fortugno ma cercano anche la talpa che l'ha voluto "sporcare" da morto. È la caccia a chi ha provato a depistare, a gettare ombre sull'uomo politico ucciso una settimana fa dalla ‘ndrangheta. Tentativo raffinato e maldestro insieme, quello di far entrare nell'inchiesta sul suo omicidio 12 brevi conversazioni avute nell'arco di tre anni con Giuseppe Pansera, il boss genero di Giuseppe Morabito detto "Tiradritto". Raffinato e maldestro perché quelle 12 chiamate sono state "pescate" in un mare grande, grandissimo: qualcuno le ha abilmente trovate e selezionate tra un milione e 543 mila e 386 contatti, tutti incrociati dentro e ai margini di un colossale traffico di droga dove alcune sorprendenti triangolazioni telefoniche arrivano anche al Viminale.

La cercano negli apparati la talpa del caso Fortugno. E forse non solo lì. Di un'inchiesta sul depistaggio se ne parla a Reggio da un paio di giorni, l'aveva addirittura in qualche modo annunciata ieri l'altro anche il prudentissimo procuratore capo Antonio Catanese. Conferma Giuseppe Creazzo, il magistrato che investiga sul delitto del vicepresidente del parlamento della Calabria: «Il problema ce lo stiamo ponendo, una decisione giudiziaria la prenderemo presto». Ma trovare la talpa nell'inferno che è la Calabria dei boss e dei potenti alleati che hanno in ogni Palazzo, non è solo scoprire chi depista ma soprattutto perché depista in questo omicidio, il primo delitto eccellente mai avvenuto da queste parti. La vicenda delle 12 conversazioni tra la vittima e il boss - tutte "ininfluenti" da un punto di vista investigativo - è molto significativa anche per un'altra vicenda, che al contrario è rilevante. In quella maxi indagine sui trafficanti calabresi della Locride, Giuseppe Pansera è stato ascoltato ininterrottamente per 24 mesi dalle microspie.

E proprio nello stesso periodo in cui venivano intercettate quelle telefonate con Francesco Fortugno. Mai in una sola registrazione ambientale eseguita in quei due anni, il nome di Fortugno viene pronunciato dal genero del boss "Tiradritto". Mai una volta. E gli avevano piazzato cimici nel salotto di casa, una in auto, una in ospedale, un'altra perfino nella camera da letto. Dai primi giorni del gennaio 1998 agli ultimi giorni del febbraio 2000, Giuseppe Pansera non ha fatto un solo riferimento a quello che sarebbe diventato poi il vicepresidente del Consiglio regionale.

Il giallo di quei tabulati per qualcuno doveva entrare di forza nell'inchiesta sull'omicidio di Fortugno e di forza vi è entrato. Ma il fronte si è aperto, si è allargato, tra quel milione e mezzo di conversazioni e tracce telefoniche se ne sono trovate tante altre che portano in varie direzioni. E più o meno indirettamente anche al Viminale. Moltissime strisce telefoniche in entrata ed uscita da utenze intestate al ministero degli Interni sono assolutamente fuori dalle indagini vere e proprie (ce n'è una valanga tra alcuni cellulari e il ministero e le questure, tra il ministero e funzionari di polizia) ma qualcuna è stata ritenuta sospetta. Tant'è che un magistrato di Milano ha delegato con un decreto la Squadra Mobile «ad acquisire» nei primi giorni del 2002 due utenze, entrambe intestate al ministero degli Interni, dipartimento di Pubblica Sicurezza. Due numeri «sotto indagine» insieme ad altri 462, numeri confrontati con altri, «seguiti» nei loro tracciati per mesi e anche per anni. «L'analisi dei dati di traffico di quei due cellulari del ministero degli Interni, acquisiti dalla polizia di Stato, non ha fatto emergere in alcun modo contatti diretti con Giuseppe Pansera o con altri esponenti della ‘ndrangheta», assicura oggi Gioacchino Genchi, il consulente che la procura di Milano ha incaricato per una «elaborazione analitico-relazionale» di tutte le telefonate della grande inchiesta sul business calabrese degli stupefacenti. La perizia l'ha cominciata nel febbraio scorso e l'ha consegnata a giugno, quando era ancora in corso l'ultima tranche di un processo ai trafficanti. I due numeri del ministero hanno avuto, nel periodo dell'indagine, 17.626 contatti, 12.356 uno e 5.270 l 'altro. Contatti "indiretti", come si dice tecnicamente, ce ne sono stati. E nella consulenza vengono riportati tutti. Come ad esempio alcune telefonate fatte a un numero (un telefono fisso) intestato a un uomo, che poi ha contattato quattro volte in undici mesi (dal 23 aprile 2000 al 28 marzo 2001) un'utenza cellulare che è passata molto velocemente di mano in mano. Attivata nell'ottobre del 1997 dal signor X dopo appena 26 giorni è risultata intestata al boss Giuseppe Pansera, dopo 9 mesi a una donna e ancora dopo 14 giorni al signor X che l'aveva attivata all'inizio. Tanti passaggi, un po' troppi per rientrare nella normalità. Chi cambia così facilmente cellulare? Chi si disfa di un numero dopo solo 14 giorni o dopo 26 giorni, e poi magari se lo riprende con il suo nome? Chi, se non uno che vuole sfuggire ai controlli? Misteri telefonici. Come quegli altri, sempre ritrovati in quel magma di numeri schedati dall'indagine di Milano. Quei numeri che chiamano e vengono chiamati dai due cellulari del Viminale e che risultano «non identificati». Ce ne sono fissi e ce ne sono mobili. Abbiamo provato a chiamarne, a caso uno fisso e a caso uno mobile. Sono attivi tutti e due ancora oggi.






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