02.01.2008 - approfondimenti
Su Bruno Contrada... il "dottor morte"
a cura di C.Abbondanza e S.Castiglion

Qualche passaggio tratto da
“Intoccabili”
di Saverio Lodato e Marco Travaglio

Già capo della squadra Mobile e della Criminalpol di Palermo, poi promosso e ripromosso fino a diventare il numero tre del Sisde (responsabile del dipartimento criminalità organizzata), Bruno Contrada ha lavorato a Palermo per trent'anni, mentre intorno a lui i colleghi Boris Giuliano, Cassarà e Montana morivano ammazzati. Viene arrestato per mafia alla vigilia di Natale del 1992, un mese prima dell'arrivo di Caselli a Palermo. Resterà in carcere per 31 mesi, in custodia cautelare: non per l'accanimento della Procura o di un solo gip, ma perché le esigenze cautelari vengono confermate anche da tre giudici del Tribunale del Riesame e da 10 di due diverse sezioni della Cassazione. Numerosi pentiti, ma anche testimoni molto vicini a Falcone, lo accusano di collusione con la mafia. L'indagine è condotta dai pm Antonio Ingroia e Alberto Morvillo (il cognato di Falcone). Il rinvio a giudizio, nel 1994, è disposto dal gip Sergio La Commare.
Non di soli pentiti si nutre l'impianto accusatorio, ma anche e soprattutto di testimoni autorevolissimi. A cominciare dai colleghi di Falcone, che raccontano la diffidenza che Giovanni nutriva per “il Dottore”: i giudici Carla Del Ponte, Antonino Caponnetto, Mario Almerighi, Vito D'Ambrosio, Giuseppe Ayala, Ferdinando Imposimato. E poi Laura Cassarà, vedova di Ninni (già collega di Contrada alla Questura di Palermo, assassinato dalla mafia). E Saveria Antiochia, madre e moglie di due vittime di mafia. Tutti a ripetere davanti ai giudici che Contrada passava informazioni a Cosa Nostra, e comunque Falcone e i suoi più stretti collaboratori lo consideravano inaffidabile e lo tenevano a debita distanza. Poi ci sono una sfilza di mafiosi pentiti: prima 9, poi 15, alla fine una ventina. Compresi quelli di prima generazione, particolarmente attendibili, “consacrati” da svariate sentenze definitive di Cassazione. [...]
Ma, soprattutto, è centrale il caso di Oliviero Tognoli, l'imprenditore bresciano arrestato in Svizzera nel 1988 come riciclatore della mafia. Secondo Carla Del Ponte, che il 3 febbraio 1989 lo interrogò con Falcone a Lugano, Tognoli ammise che a farlo fuggire dall'Italia era stato Contrada, anche se – terrorizzato – rifiutò di metterlo a verbale. Poi, in un successivo interrogatorio cambiò versione. Quattro mesi dopo, la mafia tentò di assassinare Falcone, Del Ponte e il collega Lehman (presente anche lui al primo interrogatorio di Tognoli) con la bomba all'Addaura.[...]


Qualche passaggio tratto da
“La Trattativa”
di Maurizio Torrealta

La prima volta che Mutolo ha rilasciato dichiarazioni al dott. Borsellino è stato verso il 1° luglio 1992 a Roma, in quell'occasione ha parlato delle infiltrazioni di Cosa Nostra nei Tribunali e nella Polizia, facendo i nomi del giudice Signorino e di Bruno Contrada. Mutolo ha ricordato che durante l'interrogatorio il dott. Borsellino ha ricevuto una telefonata, e si è assentato per circa mezz'ora e quando è tornato, lo ha visto teso e nervoso e Borsellino gli ha detto che il capo della Polizia. Parisi, e il dott. Contrada sapevano già che Mutolo stava rilasciando dichiarazioni. Ma sentiamo alcuni brani del racconto di Gaspare Mutolo nella udienza del 21 febbraio 1996 per il processo per la strage di Via D'Amelio:
“[...] il giudice Borsellino mi viene a trovare, io ci faccio un discorso molto chiaro [...] e ci ripeto, diciamo, che io sapevo su alcuni giudici e su alcuni funzionari dello Stato molto importanti, però ci dico che non volevo verbalizzare niente se prima io non parlavo della mafia, ma diciamo li ho avvisati per dirci “c'è questo pericolo, insomma, se si sa qualche cosa, qua, insomma, finisce male”. Allora mi ricordo probabilmente [...] che il dottor Borsellino la prima volta che mi interroga, riceve una telefonata, mi dice “sai Gaspare, debbi smettere perché mi ha telefonato il Ministro”, “va beh, dice, manco una mezzoretta e vengo” [...]. Quindi manca qualche ora, 40 minuti, cioè all'incirca un ora e mi ricordo che quando è venuto, è tutto arrabbiato, agitato, preoccupato, ma che addirittura fumava così distrattamente che aveva due sigarette in mano. Io insomma, non sapendo che cosa... “dottore, ma che cosa ha?” e molto lui preoccupato e serio, mi fa che, viceversa del ministro, si è incontrato con il dottor Parisi e il dottor Contrada... mi dice di scrivere di mettere a verbale quello che gli avevo detto oralmente, cioè che il dottor Contrada, diciamo, era colluso con la mafia, che il giudice Signorino, diciamo, era amico dei mafiosi... amico... insomma che tutto quel che sapeva gli diceva, ci ho detto “guardi noi più di questo non dobbiamo verbalizzare niente, perché” ci dissi “io... insomma a me mi ammazzano e quindi a me interessa che prima io verbalizzo tutto quello che concerne l'organigramma mafioso”. Io, appena finisco di parlare dei mafiosi, possiamo parlare di qualsiasi cosa, che a me non mi interessa più. L'ultima sera che ci lasciamo con il dottor Borsellino è stato, mi sembra, il venerdì, dopo due giorni il giudice... salta in aria”.
[...]
Sui contenuti di questo incontro [al Ministero, ndr] il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca ha fatto alcune dichiarazioni davanti ai magistrati nel 1998 che il quotidiano la Repubblica ha pubblicato nel settembre del 2001.
“Paolo Borsellino muore per la trattativa che era stata avviata fra i boss corleonesi e pezzi delle istituzioni. Il magistrato, dopo la strage di Capaci ne era venuto a conoscenza e qualcuno gli aveva detto di starsene in silenzio, ma lui si era rifiutato. A Borsellino era stato proposto di non opporsi alla revisione del maxi processo e di chiudere un occhio su altre vicende. Il suo rifiuto ha portato venti giorni dopo a progettare ed eseguire l'attentato in via D'Ameglio”.

Anche il pentito Giovan Battista Ferrante deponendo nel processo “Borsellino ter”, di fronte alla Corte d'Assise di Caltanissetta, ha parlato di interessi esterni a Cosa Nostra e ha raccontato l'alleanza che sarebbe stata stretta tra Cosa Nostra e massoneria per attuare le stragi di Capaci e Via D'Amelio. Ferrante aveva già riferito alla Procura nissena quello che secondo lui Totò Riina disse al termine di una riunione di mafia nel settembre 1992: “Se fosse stato per me le stragi di Via D'Amelio e Capaci non si sarebbero fatte. Ma sono state volute dalla massoneria e quindi ho dovuto adempiere alla loro richiesta”. Ferrante, oggi, ha però aggiunto particolari alle sue precedenti dichiarazioni: “Agli inizi degli anni '80 Pippo Gambino mi ha parlato della massoneria dicendomi che ne facevano parte parecchi sbirri magistrati e anche avvocati. In particolare mi disse che facevano parte della loggia massonica “Armando Diaz” Stefano Bontade, il cavaliere Arturo Cassina, Bruno Contrada e l'avvocato palermitano Sbacchi”. Secondo il collaboratore il boss Gambino avrebbe detto anche che “erano massoni comandanti dei Carabinieri e componenti della Polizia e che la massoneria aveva collegamenti con i servizi segreti”, Ferrante si è poi rifiutato di rispondere ancora a domande dei pm Anna Palma e Nino Di Matteo sulla massoneria chiedendo di poter rispondere solo sulla strage di Via D'Amelio”.

24 dicembre 1992. L 'arresto di Bruno Contrada
Il questore Bruno Contrada, 61 anni, funzionario del Sisde, viene arrestato il 24 dicembre 1992 su ordine della Procura della Repubblica di Palermo, per concorso esterno in associazione mafiosa. Subito dopo l'arresto è sospeso dal servizio. Capo della squadra mobile di Palermo dal 1973, Bruno Contrada viene promosso dirigente della Criminalpol per la Sicilia occidentale. Ritorna alla direzione della “mobile” come reggente il 29 luglio del '79, quando la mafia uccide il vice questore Boris Giuliano. Ma è un ritorno difficile: il questore del tempo, Vincenzo Immordino, lo accusa di immobilismo nell'attività investigativa. Contrada reagisce denunciando Immordino alla magistratura per abuso in atti di ufficio, per avergli sottratto un'indagine sul clan mafioso Spatola-Inzerillo-Gambino.
La sentenza di archiviazione dell'accusa, firmata da Giovanni Falcone, ritiene non immotivata la decisione del questore. Il magistrato scrive, tra l'altro, che per assicurare il successo di operazioni antimafia, Immordino aveva finito con il tenere all'oscuro dei suoi progetti Contrada.
Il seguito a questa controversia, Contrada lascia la questura di Palermo, assumendo l'incarico di capo di Gabinetto del primo Alto Commissario per la lotta alla mafia, Emanuele De Francesco, insediandosi all'indomani dell'uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa. De Francesco era comporaneamente anche Prefetto di Palermo e direttore del Sisde, e Contrada passa al servizio segreto civile quando De Francesco è sostituito a capo dell'Antimafia.
[...]
Dopo aver svolto la sua attività nel Sisde dal 1962 al 1985 Contrada viene trasferito a un altro incarico al Sisde a Roma.

ALTRI APPROFONDIMENTI:

02.01.2008 Conosciamo un po' meglio il legale del "dottor morte",
Giuseppe Lipera -
clicca qui

02.01.2008 - Su "Sicilia Libera", co-fondata da Giuseppe Lipera,
l'intreccio della stagione stragista 1992-1993,
con i legami politici e massonici di  Cosa Nostra - clicca qui

28.12.2007 - una risposta a Emanuele Macaluso
Alla fine ritornano i "garantisti", storici difensori di collusi e mafiosi...
Oggi in difesa de “u’ dutturi” - clicca qui







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