07.04.2007 - dal sito DemocraziaLegalità
Rien ne va plus
di Marco Ottanelli


ll Ministro dell'Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro, Direzione IV, con decreto n. 14605 dell'11 febbraio 2005, su proposta della Consob ex art. 195 D.Lgs. n. 58/98, ha applicato pesanti sanzioni pecuniarie a carico degli esponenti aziendali di alcune delle maggiori banche italiane, a motivo della non diligente e non corretta negoziazione di bonds Cirio. A nulla rileva che le multe sono state annullate per vizi formali (non sono stati rispettati alcuni termini): quello che conta è la sostanza. Le banche condannate sono: Banca Nazionale del Lavoro S.p.A., Banca Popolare di Ancona SCARL, Credito Emiliano S.p.A., Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A., Banca Antoniana Popolare Veneta SCARL, Banca Agricola Mantovana S.p.A., Unicredit Banca S.p.A. (già Cassa di Risparmio di Torino S.p.A.), Capitalia S.p.A. (già Banca di Roma S.p.A.), Banca Intesa S.p.A. (già Cariplo S.p.A., Banco Ambrosiano Veneto S.p.A., Banca Commerciale Italiana S.p.A. e Banca Intesa S.p.A.) e Sanpaolo Imi S.p.A. (tratto dal sito www.studiotanza.it che raccoglie un bel campionario di scandali)

Ecco una delle tante notizie comparse in questi anni riguardo alle banche. Una notizia, ovviamente, di condanna di un loro scorretto comportamento. Avrei potuto citarne dozzine, di notizie simili: l'affaire Fineco, quello Banca Sella, il Me4You del Monte dei Paschi, il clamoroso caso Parmalat. E poi, a caso, gli intrecci delle scalate alla RCS, da Unipol in poi, e li tanti, troppi, continui richiami di tutte le autorità che certificano come le banche facciano cartello, siano ultraprotezioniste, chiuse al mercato europeo e- per naturale conseguenza- siano ovviamente troppo care. Per riuscire a convincere persino Bersani ad intervenire un po' con le sue liberalizzazioni, vuol dire che il nostro sistema creditizio è proprio “messo male”, per usare una espressione popolare.

Qualunque cittadino, qualunque imprenditore, chiunque abbia messo piede in una banca, sa di cosa stiamo parlando. EPPURE, ogni volta che c'è da fare una qualunque operazione finanziaria, industriale, strategica, tutta la politica, ed in particolare i neoaffaristi prodiani e diessini, non trovano di meglio che invocare l'intervento delle banche, in nome e per conto del falso e truffaldino dogma dell'italianità, consegnando loro in definitiva non solo il potere economico (che già hanno, peraltro, attraverso il debito) ma anche quello strategico, concreto, reale sulla vita del nostro Paese. Personaggi (spesso non limpidi, spesso torbidi) dagli stipendi stratosferici, eletti da nessuno e responsabili davanti a nulla, hanno in mano, con il beneplacito del neocraxismo imperante, il REALE governo del Paese, che, ancora una volta, come per tutto il periodo 1950-1992, torna a risiedere fuori da Palazzo Chigi e si aggira fumoso tra Piazzetta Cuccia, la finanza rossa, quella padana, quella cattolico-vaticana e quella dei rampanti d'assalto, sempre a fianco del mattone, del cemento, dell'asfalto e, new entry di centrosinistra, degli inceneritori.Un progresso veramente democratico.

Romano Prodi è, delle banche, un grande amico. In particolare, di quel Giovanni Bazoli che, dall'alto del suo impero Intesa, è stato uno dei suoi padrini, uno degli inventori di “Prodi premier” agli albori degli anni '90, agli albori dell'Ulivo, sotto l'alto patrocinio dell'ex ministro – defunto proprio nei giorni scorsi- Beniamino Andreatta, definito da tutti come l'inventore dell'Ulivo stesso, l'ideologo del patto tra ex comunisti ed ex democristiani nel tormentato periodo di Tangentopoli. Andreatta che, nel 1978, eliminato il concorrente Donat Cattin, fece nominare Romano Prodi ministro del'economia nel governo di solidarietà nazionale presieduto, secondo natura, da Giulio Andreotti.Quando, nell'estate 2005, scoppiò lo scandalo (...un altro...) delle scalate di Ricucci e gli altri furbetti del quartierino, buona parte dello schieramento allora all'opposizione si esibì in spericolate difese degli immobiliaristi e fece appello alle banche amiche perchè si mettessero in moto, da subito, per conquistare, a qualunque costo e con qualunque alleanza, Antonveneta e BNL. Intercettazioni quanto meno imbarazzanti tra Fassino, altri esponenti dei DS e Consorte furono rese pubbliche dai giornali, mentre molte altre, comprese quelle nelle quali parla D'Alema, sono tuttora segrete, al vaglio della magistratura e rischiano la distruzione definitiva.

Ma la lezione non è stata sufficiente. Non appena due aziende importanti, essenziali, fondamentali, come Alitalia e Telecom, (distrutte da una scellerata gestione per la quale nessuno pagherà mai, né sarà neanche tenuto a dare spiegazioni), gonfie di debiti e di inconcepibili errori industriali, vengono giocoforza messe sul mercato, non appena gli investitori stranieri (Air France nel primo caso, la spagnola Telefonica, la statunitense AT&T, la messicana American Movil nel secondo ... e tralasciamo il caso Abertis- Autostrade...) osano cimentarsi con il sistema-Italia, ecco che scattano i lamentosi appelli alla salvezza del nostro patrimonio nazionale, alla necessità di conservare beni strategici, di garantire la ricerca e le competenze locali, in poche parole si ritira fuori la difesa dell'italianità, concetto sbandierato magari da coloro che tra privatizzazioni, parcellizzazioni, dismissioni, esternalizzazioni, hanno mandato in vacca nell'arco di pochi decenni tutte le produttività e le creatività italiane, lasciandoci padroni solo di quel sole e di quel mare, e quei monumenti con i quali stiamo facendo diventare la penisola un immenso villaggio turistico, a prezzo di speculazione sulle coste e svuotamento dei centri storici.Non sono ordini, badate bene, né leggi, né atti ufficiali, quelli che mettono a quel punto in moto “le banche”: sono interviste, dichiarazioni, appelli, tanto più patetici quanto più efficaci.

Sono appelli ad anime buone, candide, pulite, disposte al sacrifizio per la Patria , ad “intevenire”, che poi, detto tra noi, vuol dire: comprarsi tutto, controllare tutto.Per Alitalia, passato il pericolo francese,si sono mosse Unicredit (quella di Profumo, l'amico più fidato di Fassino in area bancaria) e Mediobanca, addirittura. Quale dei due istituti di credito ci farà volare, e gestirà rotte, aerei, hostess e piloti, lo vedremo tra poco. Come lo gestiranno, lo capiremo tra molto. E soprattutto, vedremo quale politica dei prezzi, del lavoro, delle tariffe, degli scambi, degli scali aeroportuali Unicredit o Mediobanca riterranno vantaggiosi per sé stesse e per recuperare i costi di chiusura dei conti, aboliti poco fa su un piatto che forse offriva altro, in controparte.Per Telecom, per adesso, l'offerta delle banche non c'è, ma la preghiera dei politici sì.

E c'è anche l'intento sprtitorio. Non lo diciamo noi, lo dice Guido Rossi, dimissionario in questo venerdì santo 6 aprile 2007, venerdì di passione e di rabbia. Lo dice, sconfitto dal “sistema” (come – mutatis mutandis- Gherardo Colombo) in una intervista a Repubblica che è un atto di accusa formidabile e spietato alla classe politica governativa, e che non sortirà, proprio per queste sue caratteristiche, alcun effetto. Una intervista nella quale Rossi non risparmia nessuno: né il suo ex “capo”, Tronchetti Provera, né i DS, né Prodi, né, soprattutto, quel clima generale stile “Chicago anni '20” che soffoca e ammorba non solo l'economia e la politica, ma la società italiana intera. E ancora, riecheggiano le motivazioni di Colombo.E mentre l'investimento straniero-incidentalmente- è da noi incredibilmente più basso che negli altri paesi d'Europa (e “investimento” vuol dire denaro fresco, vuol dire capitali che entrano in circolo, vuol dire tasse da pagare al nostro erario), si affacciano volenterose, dopo l'appello di Fassino, la San Paolo- Intesa di Bazoli, l' amico più fidato di Prodi in area bancaria e, ancora una volta, Mediobanca con Generali, una assicurazione che, se tutto va come si pensa che vada, controllerebbe una azienda di telecomunicazioni monopolista e maggioritaria.

(per gli assetti societari,si veda un altro nostro articolo, un po' datato perchè qualcosa nel tempo è cambiato, ma sempre valido).

Le banche come infernali macchine mangiasoldi alle quali togliere qualche euro di prebende, e come paradisiaci luoghi della difesa del Sistema. Questo governo, questa maggioranza, questa classe politica gonfia di conflitti di interesse sta giocando un gioco azzardatissimo, porgendo al capitale speculativo la sostanza stessa del Paese, quella che una volta si chiamava la “struttura”. Il problema di tutti i giochi d'azzardo è che, alla fine, vince sempre il banco.











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