13.03.2007
Le ombre di Di Pietro,
nuove indagini della magistratura
di S.Castiglion

E Di Pietro ci ricasca. Ora, come si suol dire, una volta passa, la seconda capita ma qui si è recidivi. Quanto emerge dall’inchiesta giornalistica della Voce della Campania (pubblicata da Democrazia Legalitàè inquietante. Il Partito con “lui” quale unico iscritto con potere decisionale e l’immobiliare “sua” che affitta gli appartamenti al “suo” partito. I suoi rapporti con Pomicino e amici imputati anche per mafia. (l’articolo-inchiesta in formato .pdf – clicca qui)

Ma permetteteci, non è una sorpresa. Antonio Di Pietro ha sempre avuto lati oscuri e sui quali non ha mai voluto fare chiarezza, nascondendosi dietro le battute da bonaccione di campagna. Per fortuna il Pool di Milano non era solo lui, ma soprattutto tanti altri validi magistrati. Qui a Genova nel 2002, narrano le cronache, inviò come Commissario Beniamino Donnici, uomo proveniente dall’estrema destra calabrese, che inviò un po’ ovunque in giro per l’Italia e che poi ha trovato posto nella Corte di Loiero, come assessore nella Giunta emanazione di una maggioranza di inquisiti-imputati-condannati-prescritti-o-agli-arresti della Calabria. Allora, commissariò la Provincia di Genova perché aveva stretto un accordo con Claudio Burlando nel nome della “nuova Sinistra, Genova laboratorio d’Italia”, per avere assessorati in tutte le Amministrazioni, affermando che la lista civica “Noi per Genova” voluta e costruita da tutti i “dipietristi” genovesi insieme ai “sansiani” ed agli ambientalisti non era da fare perché i valori si possono enunciare ma bisogna mandare avanti il Partito. Alla rivolta che svuotò l’Italia dei Valori a Genova (tanto che all’assessorato alla Cultura della Provincia di Genova andò l’imperiese Anna Maria Panarello, poi cacciata dal Presidente Repetto un anno dopo) Di Pietro tuonò: “Anche sulla Questione Morale bisogna fare dei compromessi, qui si fa politica!”.
Ma Di Pietro aveva già dato segni ambigui e quella fu l’ultima “goccia”, prima di restare solo. Un anno prima inviò a Genova, come Capolista per le Politiche, Filippo De Jorio. Ad una verifica sul personaggio venne fuori che questi era non solo un ex iscritto alla P2 e collaboratore strettissimo di Licio Gelli, ma anche coinvolto nel Golpe Borghese. De Jorio, vicinissimo alle Forze Armate ed ai Servizi, era l’uomo di fiducia di Giulio Andreotti, fu arrestato dopo aver ripiegato all’estero per sfuggire ad un mandato di cattura. De Jorio fu poi assolto su proposta del Pubblico Ministero Claudio Vitalone (altro uomo di Giulio Andreotti). A Genova pensarono che forse Di Pietro non sapeva. Chiamarono Tonino e gli dissero chi era Filippo De Jorio. L’ex simbolo di Mani Pulite (per fortuna nostra, solo il simbolo e non la sostanza di quell’indagine) risposte: “Se non vi va bene andatevene! E’ stato assolto e questo basta”. La replica dei “dipietristi” genovesi fu: “Assolto si ma su richiesta di Vitalone, l’uomo di Andreotti, e quel processo era stato storicamente accertato essere una manovra di Andreotti per tenere calmi gli ambienti più caldi e dimostrare di avere tutto sotto controllo”. Ma Di Pietro non volle sentire ragioni e confermò, con tanto di lettera pubblica, la sua fiducia al De Jorio. Il giorno seguente la Repubblica riporta la notizia e la dichiarazione lapidaria di Paolo Flores D’Arcais sul comportamento di Di Pietro. Di Pietro a quel punto “congela” la candidatura di De Jorio che si risente e se ne va. Altri sono i casi precedenti e seguenti, a Genova come in altre realtà del Nord e del Sud del paese. Queste ombre permangono come macigni, come è evidente che uno Statuto in cui tutta la sovranità spetta al Capo, comprese le nomine e le candidature, ad ogni livello, sia sintomo di assenza totale dei principi liberali e democratici. Ma d’altronde quello che è oggi la Lista Di Pietro è quello che probabilmente voleva lui: un porto di mare per chi cerca un posto e che non bada a certe “quisquiglie”, come la Questione Morale e l’Etica. Intanto aspettiamo gli esiti delle inchieste aperte dalla Magistratura, anche perché un Ministro della Repubblica, in un settore delicato come quello del suo dicastero, non può avere ombre. (lui lo chiedeva agli altri e poi…)

(l’articolo-inchiesta in formato .pdf – clicca qui)






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