Intervista al PM Alberto Landolfi
- giovedì, settembre 17, 2009, 16:28
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Alberto Landolfi è Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona. A colloquio con Acta Diurna, si pronuncia sullo stato del sistema giudiziario italiano, sulla proposta di separazione delle carriere, sull’uso delle intercettazioni e sulla situazione della lotta alla criminalità in Liguria e in Provincia di Savona.
Un Suo commento sull’attuale assetto del sistema giudiziario italiano.
L’Italia è un paese ad alto sviluppo economico, un paese altamente industrializzato e, come tale, è ovviamente soggetto al fenomeno della iperlegislazione, poiché si tenta di regolamentare tutta la nostra vita quotidiana. Trattasi di una caratteristica tipica dei paesi industrializzati: si ha l’iperlegislazione quando non conosciamo le norme che regolano la nostra vita, però ci troviamo comunque soggetti ad esse: ignorantia legis non excusat. L’unico modo per far funzionare meglio il nostro sistema giudiziario, in questo marasma di leggi che vengono ogni giorno approvate, è a mio avviso quello di non fare i processi. O, almeno, ridurne il numero. Il processo dovrebbe rappresentare lo sbocco pressoché innaturale della vicenda umana, anziché naturale e automatico. Non è un caso che negli Stati Uniti, che sono il paese più industrializzato ed economicamente più avanzato al mondo, il sistema giudiziario sia caratterizzato proprio da questo elemento: non si fanno i processi, tutto avviene nella fase antecedente. Il cosiddetto “trial” è una eccezione, si preferisce patteggiare, trovare l’accordo economico, ma non recarsi davanti alla giuria popolare, perché questa è implacabile e può riservare sorprese. Noi dovremmo forse scegliere questa direzione. Oggi, nel processo penale, abbiamo soltanto il 10-15% circa dei procedimenti che vengono chiusi prima, mentre tutto il resto va al dibattimento, con tempi che sono salomonici – e nel civile non cambia granché.
Qual è la Sua opinione sulla riforma del sistema giudiziario proposta dall’attuale Governo?
Il Presidente del Consiglio ha di nuovo proposto la separazione delle carriere, la formazione dell’avvocato e del pubblico ministero, con quest’ultimo che dovrebbe recarsi dal giudice con il cappello in mano. Cose di questo genere mi sembrano un po’ allegoriche. Per la separazione delle carriere non ci dev’essere nessun preconcetto e nessun tipo di ostracismo. Non si ha motivo di ritenere che la riforma sia una manovra mossa da obiettivi nascosti, al fine di favorire chissà chi o chissà che cosa. Il problema, tuttavia, è un altro: la separazione delle carriere presuppone sempre il sistema accusatorio puro, che in Italia non sussiste. Presuppone la discrezionalità dell’azione penale, che in Italia non sussiste. E presuppone anche la giuria popolare, che in Italia non sussiste. Non ha quindi senso parlare della separazione legale di un pubblico ministero, staccato dall’organo giudiziario, in assenza di questi tre presupposti fondamentali.
Servirebbe quindi una riforma più ampia del sistema giudiziario?
Certo. L’attuale progetto di riforma equivale ad aggiungere, nella preparazione di una torta, un ingrediente che non c’entra. Sarebbe come mettere il pepe nei marrons glacés. Questi sono i presupposti. Ovviamente, il PM deve possedere delle garanzie di indipendenza che siano chiare e costituzionalmente stabilite. In Francia, proprio in questi giorni, il presidente Sarkozy si prepara a varare, con l’assenso del Parlamento, una importantissima riforma giudiziaria. Con essa, viene soppresso il giudice di istruzione – curiosamente, si ripete quanto già avvenuto in Italia, ma con almeno venti anni di ritardo – e quindi tutti i poteri investigativi passano nelle mani del Pubblico Ministero, il cosiddetto “Parquet”. Il problema è che il “Parquet” dipende dal Ministro della Giustizia, è un organo gerarchico controllato dal potere esecutivo. Di conseguenza, in questi giorni c’è la ribellione dei magistrati francesi, che minacciano scioperi a oltranza. Già in passato ci fu una riforma costituzionale che ridusse il CSM francese a un organo di fatto controllato dal potere politico, e si è registrato un aumento del numero dei magistrati che ne fanno parte: è l’unico caso in Europa. Ritornando all’Italia, bisogna affrontare la questione senza alcun ostracismo. A questo punto, però, non è il caso di parlare se sia o meno opportuno: non ha alcuna logica portare una separazione delle carriere, se non si hanno i presupposti.
Negli ultimi tempi si è parlato molto del problema delle intercettazioni telefoniche. Qual è la Sua opinione al riguardo?
Le intercettazioni telefoniche in Italia costituiscono un grave problema, perché nessun governo si è mai interessato di regolarle dal punto di vista economico – scelta della quale si ignorano i motivi – con conseguenti arricchimenti incredibili da parte delle compagnie telefoniche, il tutto a danno dello Stato. Ciò avviene perché, in teoria, chi viene condannato a seguito di un’indagine effettuata con intercettazioni telefoniche dovrebbe pagare di sua tasca le spese di tali intercettazioni, ma in pratica queste spese non le paga nessuno. Sicuramente in Italia c’è un eccesso di intercettazioni. Tuttavia, non è corretto effettuare paragoni, in questo senso, con gli Stati Uniti. È vero che negli Usa avere il via libera dal giudice per eseguire un’intercettazione è alquanto difficile e avviene molto raramente, in quanto viene considerata una violazione della privacy troppo ampia ed è giustificata solo per reati gravissimi. Il problema è un altro: negli Usa esistono corpi non di polizia che intercettano tutto o quasi tutto, il cui numero di intercettazioni è di fatto molto maggiore, in media, rispetto all’Italia. Per fare un esempio, la NSA (National Security Agency, organismo governativo che si occupa di sicurezza nazionale Ndr) intercetta chi vuole e come vuole, senza nessun limite e nessun controllo, se non con un controllo puramente politico da parte delle alte sfere. Per non parlare di Echelon, satellite che intercetta il mondo intero. Ecco perché il paragone con gli Stati Uniti è fortemente sbagliato. Dall’altra parte, bisogna anche capire che il cellulare è ormai una parte integrante della nostra vita, quasi un altro organo del nostro fisico. Tutto avviene tramite telefono cellulare, dai rapporti affettivi a quelli famigliari. È quindi normale che anche il più scafato dei delinquenti, prima o poi, si tradisca utilizzando il cellulare.
Qual è la situazione di Savona e provincia, dal punto di vista della lotta alla criminalità?
Ad eccezione dei traffici di sostanze stupefacenti, che qui sono rilevanti – l’uso di cocaina è diffusissimo in tutti gli strati sociali – direi che la situazione criminale è abbastanza sotto controllo. Ci sono stati momenti più difficili, verso la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90, con picchi di criminalità. Negli ultimi anni gli omicidi sono diminuiti, lo stesso vale per le rapine, e il territorio è ben controllato. Polizia e Carabinieri lavorano spalla a spalla e la Polizia Municipale ha assunto un ruolo abbastanza rilevante nell’attività di polizia giudiziaria. Confermo quanto già affermato in passato: il Ponente ligure è stato per anni luogo di aggregazione di gruppi famigliari legati alla criminalità organizzata calabrese e a personaggi di spicco appartenenti a questa sfera. Tuttavia, negli ultimi 10-15 anni, l’attività di repressione, soprattutto grazie alla confisca dei loro beni, ha prodotto risultati positivi. Oggi non si può sostenere che un’organizzazione mafiosa sia attiva e operativa in Provincia di Savona. Chi lo afferma, o è in malafede, o è un ignorante.
Cristiano Bosco
L'autore
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